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Ritratti. Marco Perpiglia, il partigiano Pietro

  •   Carmelo Azzarà
Ritratti. Marco Perpiglia, il partigiano Pietro

Marco Perpiglia, nato a Roccaforte del Greco il 13 ottobre 1910 da Caterina Sergi e da Rocco Perpiglia, dopo le elementari, proseguì privatamente gli studi, ma, in seguito, innamoratosi di Giuseppina Russo, si adoperò per apprendere un mestiere con l’intenzione di farsi una famiglia e divenne, giovanissimo, un buon esperto ebanista. Sposatosi all’età di vent’anni, ebbe una bambina che chiamò Caterina, nome della madre, e che prematuramente perse all’età di tre mesi. Dopo qualche anno si trasferì a La Spezia, entrando all’Arsenale per la costruzione di pregiati mobili navali, e si iscrisse al Pci, divenendone un fervente militante e propagandista antifascista.Iniziata la guerra civile di Spagna del 1936/39, raggiunse clandestinamente Albacete, centro di raccolta dei volontari combattenti in difesa della Repubblica spagnola, e venne incorporato nel IV battaglione della XII Brigata garibaldina, assumendo l’incarico di segretario aggiunto del Pci delle zone occupate, e divenendo in seguito commissario politico, nominato da Luigi Longo, comandante delle Brigate internazionali. Combattè a Brunete, Caspe e sull’Ebro, dove venne ferito alla gola. 

Crollata la Repubblica spagnola per l’enorme apporto di Hitler e Mussolini, passò in Francia e venne internato, dal governo collaborazionista e filonazista di Petain, nei terribili campi di concentramento di St. Cyprien, Gur e Vernet. Riuscì ad evadere da Vernet, ma l’8 aprile del 1941 venne arrestato a Menton, consegnato alla polizia italiana, portato e incarcerato a La Spezia, sua città di residenza, dove apprese dalla moglie della morte dell’unico figlioletto Rocco, di circa quattro anni, deceduto di fronte casa, investito da un camion. 

Il 25 maggio del 1941 il questore di La Spezia lo propose all’assegnazione del confine, che il Tribunale speciale confermò, e lo condannò a cinque anni sull’isola di Ventotene. Fu liberato un mese dopo la caduta del Fascismo e, ad agosto dello stesso anno, si ricongiunse alla moglie, riprendendo l’attività clandestina antinazifascista a La Spezia, e organizzando, insieme ai comitati sindacali, l’imponente sciopero del 1943-1944 nelle varie fabbriche liguri per un trattamento umano degli operai e per un salariato più giusto, compreso la Montecatini, dove lavorava la moglie, attivista antifascista che diffondeva la stampa clandestina insieme ad altre operaie. Scoperta il 3 marzo del 1944, venne arrestata, saltata nel conteggio alternato, per essere inviata nei campi di concentramento, venne liberata e raggiunse in montagna la Brigata Gramsci, di cui divenne militante e combattente. Nel frattempo Marco entrò nel Clnp di La Spezia in qualità di segretario-bis del Pci. 

Braccato dall’Ovra, venne arrestato e torturato col partigiano di Sarzana, Ardenio Spinosa, con cui riuscì a fuggire dalla caserma e raggiungere i partigiani in montagna. Lì, con altri sei valorosi antinazifascisti, organizzò e fondò la gloriosa “Brigata garibaldina cento croci”. Spostandosi da una brigata all’altra, in qualità di ispettore della IV Zona operativa ligure, in una retata, venne arrestato dai tedeschi nella zona di Albareto, in provincia di Parma, ma riuscì a fuggire in modo rocambolesco, inseguito dalle raffiche dei mitra. 

Cacciati definitivamente i tedeschi, liberata la Liguria, alle ore 10, 2500 partigiani della IV Zona operativa ligure, con in testa i loro comandanti, sfilarono per le vie di La Spezia, applauditi da una marea di folla. Furono occupati i più importanti posti istituzionali: al palazzo della prefettura s’insediò il Clnp con a capo Marco Perpiglia e Arpino Ongaro per il Pci, Pietro Beghi e Giovanni Bissi per il Psi, Paolo Borachia e Ottorini Marcellini per la Dc, Carlo Naef e Ruggero Gambini per il Pli, Rino Visconti e Mario Foce per il Partito d’Azione. Primo atto del Clnp fu la nomina del primo “Prefetto della liberazione”: il socialista Mario Beghi, scelto per le sue alte qualità morali e le esperienze amministrative. 

Marco Perpiglia iniziò la sua attività politica e sociale insieme ad altri compagni per la riorganizzazione di tutti gli apparati e la ricostruzione della città e delle fabbriche. Proposto all’unanimità, alla candidatura al Senato, alle prime elezioni, dalla Federazione provinciale di La Spezia, rifiutò poiché era sua intenzione ritornare in Calabria per la ricostituzione del Pci, insieme ai compagni locali. In Calabria si inserì nella Federazione provinciale di Reggio Calabria, assumendo diversi incarichi, in particolare addetto ai vari enti e inaugurando alcune sezioni del Pci, compresa quella di Palmi e quella del suo paese, Roccaforte del Greco. Ritornato a La Spezia diresse la Sud-Arsenale, la più grossa sezione del Pci di La Spezia. 

Ritornato definitivamente in Calabria verso gli anni ‘60 cercò di consigliare nel miglior modo possibile la gestione delle amministrazioni locali, ma non fu compreso dagli esponenti del suo stesso partito e si ritirò a vita privata a Roccaforte del Greco con la moglie e la vicinanza dei genitori. S’immerse nelle letture, aggiornandosi sugli sviluppi della politica e abbonandosi a riviste di natura politica, sociale e filosofica, fra cui Rinascita, diretta da Palmiro Togliatti. Contattato da qualche scrittore descrisse episodi e svolgimenti della guerra di Spagna ed in particolare della Resistenza. Ebbe una corrispondenza con lo scrittore Antonio Bianchi di La Spezia, che gli inviò il libro Storia del movimento operaio di La Spezia e della Lunigiana. In seguito partecipò ad un convegno a Bologna per la commemorazione delle “Brigate internazionali della guerra civile di Spagna”, dove incontrò, con grande emozione, il medico che gli curò la ferita alla gola nella battaglia dell’Ebro. 

Negli ultimi anni della sua vita soffrì molto per crisi d’asma e cardiache e anche perché la moglie fu colpita da ictus. Domenica 23 ottobre 1983, con spirito rassegnato e rasserenato, con stoica determinazione e col solito coraggio, si recò nella vicina abitazione dei genitori, ormai disabitata, e si suicidò con un colpo di pistola, lasciando un ricordo indelebile a tutti coloro che lo conobbero e che lo stimarono per la sua fede incrollabile, per i suoi ideali e per i valori di giustizia e libertà a cui dedicò tutta la sua vita.

Dott. Carmelo Azzarà


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