Ritratti. "Stefano, uomo speciale"
- Domenico Luppino
Risulta esercizio assai arduo, quello di cercare di raccontare dell’animo umano. Se poi, gli uomini del cui animo si pretenderebbe di raccontare, sono o sono stati “speciali”, l’impresa diventa quasi titanica.
Stefano, ragazzo, adulto e anziano del mio paese, fino a che le forze e la salute lo hanno aiutato, veniva spesso a trovarmi ed io ne avevo piacere. Non voglio dire che avesse per me un debole. Egli, un debole l’aveva per tutti quelli che gli trasmettevano amore ed amicizia sincera. Ma, in particolare, egli aveva una particolare attrazione per quelli che sapevano apprezzare l’amore che elargiva a piene mani. Se mai, quindi, ero io, come tanti altri, ad avere un debole per lui. Me ne accorgevo, ed oggi più di sempre, da come ci rimanevo male se non veniva a trovarmi, se passava dritto davanti al mio portone senza bussare. Ma più che per questi motivi, me ne accorgevo perché mi mancavano i suoi abbracci improvvisi; le sue risate immotivate e spontanee che, specie nei soventi momenti bui della mia esistenza, riuscivano a strapparmi un sorriso.
No, non ero io, come talora ho creduto stupidamente, che davo a lui qualcosa. Era Stefano che stava concedendomi tanto.
Dopo la sua morte, avvenuta pochissimo tempo fa, aveva più di sessant’anni e pare che per un down sono tanti anni, ho pensato a lui tante volte. Per tanto tempo, da quando seppi della malattia che lo aveva afflitto, avevo sperato di rivederlo, con il suo incedere inconfondibile, girare ancora per le strade del paese o percorrere la strada che da Sinopoli porta a Sant’Eufemia d’Aspromonte. Era una stupida aspettativa e speranza la mia. Alimentata dalla paura e dal pudore di compiere un gesto, tanto semplice quanto voluto, di andare a trovarlo. Non l’ho fatto ed è una colpa che difficilmente riuscirò a perdonarmi. So bene, invece, che egli, a parti invertite, lo avrebbe fatto con me.
Ora che egli non c’è più, mi sono accorto che ha differenza di tante altre figure passate che affollano la mia memoria, di Stefano riesco a ricordarne i tratti, i movimenti, i gesti, il timbro della voce. Ma più di ogni altra cosa, riesco a ricordarne gli occhi.
Non sono particolarmente praticante, anzi quasi per nulla. Ma, a mio modo, penso di essere credente. Anche se non sono mai riuscito ad immaginarmi Dio e credo sia giusto così. L’ho sempre ritrovato, il Padreterno, in una giornata di sole, piuttosto che in una di pioggia o di vento; l’ho visto, Dio, negli occhi di alcune persone che ho e che mi hanno amato, negli occhi dei miei figli. Ma, sono altrettanto certo, di averlo trovato in quel piccolo uomo, dagli occhi vispi, allegri e senza alcuna macchia. Ecco, direi che senza alcun dubbio, Stefano era la più completa rappresentazione del Dio in cui vorrei credere.
L’amore che Stefano riusciva a trasmettere, così come anche il senso di pace che davano i suoi movimenti lenti, senza tempo, non aveva vincoli, schemi, lacci e convenzioni. Perché egli era “libero”, nella accezione più alta del termine. Dava, il suo essere uomo, senza nulla a pretendere. Una lezione ed un lascito enormi, se ci si pensa bene. Sui quali, non può essere ammesso alcun dubbio, alcuna discussione.
Non vuole esserci, altresì, alcun senso retorico e patetico in queste mie parole. Così come anche, non vi è nessuna intenzione di esortare noi, uomini affatto “speciali”, al solo cercare di avvicinarci alla lezione di Stefano, Non sarebbe esercizio in cui, nostro malgrado, riusciremmo a cimentarci con una pur flebile speranza di successo. Se noi tutti o anche una piccola parte di noi, avessimo solo lontanamente inteso la nostra esistenza, come Stefano ha inteso la propria, nessun odio, nessuna violenza, nessun tentativo di sopraffazione dell’altro uomo, si sarebbero mai visti.
Presto, il ricordo di Stefano, come per noi tutti, diverrà sempre più flebile, sino a scomparire del tutto. Non rimarrà nulla, se non nel ricordo dei suoi cari e di quanti l’hanno conosciuto. Sarebbe bello, se l’Amministrazione comunale di Sinopoli, ritenesse di volerlo ricordare, fissandone un segno a futura ed imperitura memoria. Intitolandogli una strada, una piazza, un vicolo o semplicemente apponendo una targa, una stele. Dove chiunque possa leggere e domandarsi chi era: “Stefano, uomo speciale”.