San Luca. Don Massimo Alvaro, sacerdote degli umili
- Antonio Strangio
Con la morte di don Massimo Alvaro, la Calabria e soprattutto San Luca si ritrovano più poveri e soli. L’anziano sacerdote, che ad aprile del 2011 avrebbe compiuto 97 anni (essendo nato a San Luca in quella casa alta come un torrione il 16 aprile 1914), è deceduto domenica mattina 12 giugno 2011 nell’ospedale civile di Locri, dove era stato ricoverato, nel reparto di ortopedia, in seguito a una caduta accidentale che gli era costata la frattura del femore.
Don Massimo fu ordinato sacerdote il 24 aprile del 1938 dal vescovo di Locri-Gerace, monsignor Giovambattista Chiappe, che in via del tutto provvisoria lo aveva destinato alla cura delle anime di Caraffa del Bianco, nella chiesa Santa Maria degli Angeli, in attesa di un incarico più importante. Lì invece vi rimase per sempre. Don Massino era fratello del grande e famoso scrittore Corrado Alvaro, considerato a ragione uno degli interpreti più importanti della letteratura italiana a cavallo delle due guerre. L’anziano sacerdote amava definirsi un umile prelato di campagna, ma era il più grande esperto dell’opera dell’illustre fratello, tanto è vero che tutte le opere postume pubblicate da Bompiani sono state curate da Arnaldo Frateili in collaborazione con don Massimo. Era il più piccolo, l’ultimo dei sei figli di Antonio Alvaro, maestro elementare, e Antonia Giampaolo, casalinga. Tra lui e Corrado c’erano 19 anni di differenza, e un rapporto intenso e straordinario come scriverà più volte lo scrittore, soprattutto nel famoso racconto “Casa nostra”, inserito nella raccolta La siepe e l’orto, che è del 1921 e costituisce una delle prime opere di Alvaro. La nascita e la morte li ha quasi accomunati, visto che lo scrittore è nato il 14 aprile 1895, ed è morto l’11 giugno 1956, mentre il più giovane fratello era nato il 16 aprile 1914, ed è morto il 12 giugno 2011.
Uomo di straordinarie virtù morali, religiose e culturali, ha vissuto il suo sacerdozio ininterrottamente a Caraffa del Bianco, un piccolo paese attaccato alle falde dell’Aspromonte, divenuto, di punta in bianco, grazie alla sua presenza, l’epicentro e l’interesse di molti intellettuali e giornalisti che salivano nella vecchia canonica attaccata alla chiesa, per strappare un ricordo del più famoso fratello. Latinista raffinato, e punto di riferimento di quasi tutta la migliore gioventù che all’epoca popolava Caraffa del Bianco e dintorni, è stato anche canonico e presidente onorario della Fondazione intitolata a Corrado, la cui sede è ubicata nella casa natale di San Luca, grazie alla donazione che don Massimo ha fatto allo stesso comune, che a sua volta l’ha ceduta alla Fondazione. Custode per anni della memoria alvariana, ha inoltre conservato per diversi anni il fondo Alvaro, poi consegnato nelle mani del figlio dello scrittore, Massimo, morto a Roma nel lontano 1994. Quasi 12mila fogli tra editi e inediti, un patrimonio cartaceo di grande valore, sul quale ancora non è stata scritta la parola fine, e che nelle intenzioni di don Massimo doveva e deve diventare patrimonio della Fondazione.
Molti sono gli episodi e i ricordiche hanno caratterizzato la vita dell’uomo e del sacerdote, che, pur vivendo all’ombra del fratello, seppe ritagliarsi uno spazio e una parte molto importante. Su tutti, ci piace ricordare “la tenera bugia di don Massimo”, che, negli anni a partire dal lontano 1957, incuriosì alcuni giornali e settimanali che gli dedicarono ampi servizi, facendo scendere i loro inviati in Calabria per sentire dalla viva voce del più giovane dei fratelli Alvaro cosa fosse realmente successo. Ovviamente ci riferiamo alla decisione di don Massimo di non comunicare all’anziana madre, che stava a letto ammalata, che il figlio Corrado era morto, stroncato da un male al pancreas per il quale in precedenza era stato sottoposto a intervento chirurgico. Mi spiego meglio. Quando don Massimo ricevette la notizia che suo fratello Corrado era morto, lui, prima di raggiungere Roma, ai parenti che lo aiutavano ad assistere l’anziana madre molto legata al figlio scrittore (che gli inviava anche due lettere a settimana), ordinò di non dire che Corrado fosse morto. Al ritorno da Roma ci avrebbe pensato personalmente a spiegare la marizza che aveva colpito la sua casa. Officiati i funerali del fratello ritornò a casa ma, alla madre che domandava del figlio più grande, portò i saluti e la notizia che era stato insignito di un nuovo premio. Una pietosa bugia che rischiò di cadere molto presto perché c’era il problema delle lettere. Se Alvaro era ancora vivo, perché non gli scriveva più? E qui subentra la bellezza della storia. Don Massimo si sostituisce al fratello scrivendo lettere a nome suo, le consegnava al postino del paese che, a sua volta, le recapitava a casa sua. Don Massimo le leggeva poi, con un filo di voce, seduto ai piedi del letto dell’anziana e ammalata madre. La “bugia” durò per sempre, cioè fino alla morte, avvenuta all’incirca nove anni dopo, perché don Massimo, come ci ha raccontato più volte, non se la sentì di raccontarle la verità, visto il rapporto e l’amore che l’anziana donna provava per quel figlio che tutti gli invidiavano ed era diventato il vanto e l’orgoglio dell’intera gente di Calabria.
I funerali, celebrati nella chiesa Santa Maria della Pietà di San Luca, hanno richiamato tanta gente dei paesi vicini, come Caraffa del Bianco, Sant’Agata, Bianco, Bovalino e Siderno. A Siderno, nella casa dei nipoti, don Massimo ha vissuto fino all’ultimo giorno della sua vita, e non in un ospizio come è stato scritto. Ma non era presente nessuno dei tanti giornalisti e studiosi di letteratura che per anni hanno tentato di strappargli qualcosa d’importante sulla figura e l’opera del fratello. In prima fila, mescolato alla gente di San Luca, c’era soltanto l’ex assessore alla cultura del comune di Catanzaro, Antonio Argirò, amico di don Massimo, uno dei pochi politici calabresi che ha fatto di tutto per diffondere, soprattutto nelle scuole, l’opera del più famoso autore che la Calabria ha avuto. Padre Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri-Gerace, che qualche giorno prima, per volontà dello stesso sacerdote, aveva provveduto ad impartirgli l’ultima confessione, ha usato parole semplici ma precise per sottolineare la vita terrena dell’anziano sacerdote. «Don Massimo – ha detto il presule della Locride – ha percorso la strada straordinaria della semplicità, pur essendo un grande uomo di cultura e un sacerdote che ha saputo lanciare ponti tra l’umano e il divino. Un testimone vero della resurrezione di Cristo, attraverso un servizio preciso e continuo, tutto rivolto al popolo di Dio. Ma è stato anche – ha concluso il vescovo – il custode della memoria di Corrado Alvaro, e lo studioso che più di ogni altro ha saputo cogliere i vari aspetti di tutta la tematica alvariana». L’elogio funebre, un privilegio che spetta ai grandi uomini, e tale don Massimo era, è stato pronunciato da Fortunato Nocera, esperto di storia locale e scrittore, ex segretario della Fondazione, del quale è possibile trovare in edicola Colloquio con il padre, un omaggio alla figura dell’anziano genitore, un atto d’amore nei confronti del paese, che molto si avvicina a Memoria e vita di Alvaro. E tanti altri libri ancora.
Le spoglie di Alvaro sono state portate a spalla da una delegazione della Fondazione Alvaro, guidata dal parroco di San Luca don Pino Strangio, nella qualità di vicepresidente dell’omonima struttura culturale, dal consigliere di amministrazione Bruno Bartolo e dal sindaco di San Luca, l’avvocato Sebastiano Giorgi. Sono state poi tumulate nella tomba di famiglia del vecchio cimitero, dove dal 1941 e dal 1965 risposano i resti degli anziani genitori. Chissà, se davvero esiste un altro mondo, cosa avranno detto a Massimo gli anziani genitori, soprattutto il padre che per i figli fece cose straordinarie pur in un contesto difficile e particolare. Gli avranno chiesto di Maria, non sapendo che di già era morta, e della piccola Laura che il 30 giugno del 2011 aveva tagliato il prestigioso traguardo di un secolo di vita, definito dal più famoso fratello: «Un secolo è un flutto nel gorgo profondo». O avranno chiesto di Guglielmo, il figlio medico perché Beniamino, avvocato, invece era già morto quando loro erano ancora in vita. Ma soprattutto, gli avranno domandato di Corrado, il vanto e l’orgoglio di tutta la famiglia. Avranno voluto sapere quanti altri successi aveva mietuto, quanto era cresciuta la sua fama, quanti altri premi aveva ricevuto e le opere che aveva continuato a scrivere. La madre, morta nel ‘65, non sapeva che il figlio prediletto era già scomparso, perché Massimo gli aveva saputo nascondere la brutta marizza e avrà voluto sapere se lui, Corrado, era presente al suo funerale e cosa aveva scritto per il suo ultimo viaggio. Reminescenze di una famiglia che ha fatto grande la Calabria e soprattutto il piccolo centro di San Luca, dove come scriveva Corrado la vita era così bella che la notte non dormivo aspettando il giorno che doveva venire. E dove oggi, don Massimo semplice quanto umile è ritornato per sempre dopo 65 anni di servizio nel vicino paese di Caraffa del Bianco, perché, dovunque si vada e dovunque si viva, il profumo delle origini sempre ci accompagna. E sempre ci appartiene.