Sant'Agata vs Caraffa: «Spesso la memoria ha due vincitori»
- Domenico Stranieri
La rivalità è un sentimento antico quanto l’uomo. Può essere motivo di distruzione, di imprese leggendarie o racconti epici. Ciò nonostante non tutte le rivalità sono uguali.Ma la tensione tra gli opposti, che per Eraclito è il motore del mondo (“Polemos è signore di tutte le cose”), caratterizza da sempre anche la vita semplice dei paesi aspromontani. Secoli muti per la storia ufficiale quelli della “perduta gente” ma ricca di aneddoti e curiosità che ancora oggi gli anziani, con impeto vano, raccontano. Quando, poi, due borghi sono saldati a formare in pratica un solo paese la competizione inevitabilmente è più marcata. Il santagatese fantasioso e beffardo, il caraffese riservato e pratico. Perfino molti termini linguistici variano in modo sorprendente tra le due comunità. E se oggi alcuni pregiudizi sono stati superati (anche perché spopolamento fa rima con isolamento) e dei paesi di un tempo è rimasto solo l’involucro, una volta ogni occasione era buona per prendersi a pietrate. Era un continuo fronteggiarsi. Pure lo scrittore Saverio Strati ricorda le zuffe mitiche in contrada “Brunello” (così denominata dal nome del contadino che nel 1661 assassinò il duca Tranfo di Sant’Agata). “Legnate eretiche” erano poi quelle del venerdì santo. Ma quale era l’occasione dello scontro? Tuttora, durante la settimana santa le due processioni del venerdì si incontrano. Una, parte da Sant’Agata, arriva in chiesa a Caraffa e ritorna indietro. L’altra, in direzione opposta, da Caraffa giunge a Sant’Agata e rientra. Sia all’andata che al ritorno, dunque, le due code di fedeli si incrociano. Diciamo, più precisamente, che in passato “entravano in conflitto” poiché da sempre i più giovani, ben armati di “tocche” e “ciarnèca” (strumenti di legno che dimenandoli originano un particolare rumore), si azzuffavano come due piccoli eserciti.
MA CHI VINCEVA in queste “guerre lampo”? A sentire le fonti storiche orali non si capisce bene. Succede come per la battaglia di Quadesh combattuta nel 1274 a.C. nell’odierna Siria tra Ittiti ed Egiziani. Secondo le fonti Ittite il loro esercito aveva riportato una chiara vittoria, per i testi egiziani, invece, il faraone Ramses II li aveva guidati verso un grande trionfo. Allo stesso modo, per i santagatesi erano sempre loro a vincere. Cose dissimili si apprendono se si ascoltano i racconti caraffesi. Naturalmente la discordanza non muta se si parla con gli emigranti che si sono trasferiti in Nord Italia, Europa, Australia o Americhe. Ma in fondo cosa è la verità? Per il filosofo Gorgia “chi inganna è più giusto di chi è ingannato, e chi è ingannato è più saggio di chi non lo è”, un modo per dire che il linguaggio è sempre menzognero. Di certo la situazione non migliora nelle rievocazioni calcistiche. “Non vincevano mai…” si sente dire nella piazza di Sant’Agata, “ma se Don Massimo Alvaro ha ancora le coppe che ci aggiudicavamo nei tornei…” replicano indispettiti i caraffesi. Per fortuna molti video delle partite sono stati preservati da Don Carlo Rossi, uno dei primi aspromontani dotati di cinepresa ed amore per il cinema. Emigrato a Torino, dove i figli custodiscono ancora il materiale del padre, Don Carlo, morto nel 2009, ogni anno faceva ritorno nella sua Calabria. E quando un bambino era il frutto di un matrimonio tra una santagatese ed un caraffese? Beh, se era intelligente era uno di loro, se aveva una “testa storta” era dell’altro centro abitato (e non importava dove risiedeva, era questione di “stirpe”).
CARAFFA NASCE da uno scontro tra la famiglia Sotira e quella del barone di Sant’Agata, alla fine del 1500. Il trasferimento dei Sotira nel territorio del principe Fabrizio Carafa darà origine al nuovo borgo rivale. Ma c’è anche chi vive al confine tra i due paesi e non si capisce bene a quale Comune appartenga. Addirittura riguardo questa eccezionalità vi è un articolo, con richiamo in prima pagina, su Il Giornale del 18 ottobre 2001. Ecco come Massimiliano Lussana riporta la bizzarra congiuntura: “Dieci figli, e già questa non è proprio la norma. Cinque nati in un Comune e cinque in un altro, e siamo già oltre ogni regola. Se poi i due Comuni sono confinanti, il caso è più unico che raro. E visto che i genitori dei dieci pargoli non hanno mai cambiato casa, sembrerebbe di essere nei dintorni dell’impossibile e invece è vero, tutto vero.
I paesi in questione sono Sant’Agata del Bianco e Caraffa del Bianco, in provincia di Reggio Calabria, e la storia è l’ennesimo capitolo di un libro di confini impazziti, di storie al di là di ogni storia. Soprattutto al di là di ogni geografia”. Il titolo dell’articolo è “Il confine sotto il letto matrimoniale: concepisce 10 figli in due paesi diversi”. Leggendo il pezzo si capisce meglio come un professore scopre nello stato di famiglia di uno studente “che il ragazzo ha nove fratelli, nati quasi alternativamente nei due centri reggini”. Il giornalista continua: «Il prof, che non vuole rinunciare al piacere delle domande e delle interrogazioni nemmeno di fronte alla sua curiosità, chiede: “Com’è che la tua famiglia si trasferisce continuamente da un paese a quello vicino?”. Meravigliosa la spiegazione di Francesco: “No prof, non è così. Deve sapere che i miei genitori, quando si sono fidanzati, abitavano in due case confinanti, una in un paese, una nell’altro. Quando si sono sposati, per avere una camera da letto più grande, hanno buttato giù una parete. Ma mio padre ha il difetto di litigare con gli amministratori comunali e quindi, se litiga con il Comune dov’è il letto di mamma, lui lo sposta dall’altro lato della camera e quando mamma partorisce è costretto a chiamare l’ostetrica del comune dove è il letto e, conseguentemente, dichiarare il figlio nato in quel municipio. Ecco perché siamo nati un po’ qua e un po’ là. Ma non siamo noi che ci trasferiamo, è il letto di mamma a passare il confine”».