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Stefano Pizzata, u mastru tamburinaru

  •   Franco Blefari
Stefano Pizzata, u mastru tamburinaru

Stefano Pizzata lo incontrai a Benestare in una festa del Rosario di tantissimi anni fa, ma lo avevo già conosciuto, grancasciaru girovago, in qualche festa di piazza, dove aveva l’abitudine di “dirigere” a titolo puramente personale - come del resto faceva con la banda nelle feste dove capitava - un’allegra brigata di mastri tamburinari, suscitando l’ilarità generale. Credo fosse di Motticella di Bruzzano.

Lo avevo rivisto alcuni giorni prima della festa del Rosario, verso mezzogiorno, nella vicina Bovalino. Stava accovacciato davanti alla soglia di un ristorante, in attesa che qualcuno si accorgesse di lui. Appena mi vide, si giustificò dicendo che la gente che era passata di là non lo aveva riconosciuto, altrimenti gli avrebbe dato qualcosa. Scrissi subito, nel ricordo irriverente del più grande attore comico del cinema mondiale di tutti i tempi, Charlie Chaplin, vagabondo come lui, una poesia chiamata Com’a Sciarlò, che tento di ricostruire.

Nto fil’ ‘i menzijornu,

cogghjutu a cuvaregliu,

gliò pizz’‘i ‘nu scaluni,

nc’è Ntoni Sciabachegliu.

 

Nugliu s’accorgi ‘i d’igliu!

(genti chi cala e nchjana)…

pari ‘nu saccu ‘i stuppa

nu stròsciulu di lana.

 

A tutti ‘na rrisata,

a tutti ‘nu bongiornu,

ma nugliu si rispundi

nto filu ‘i menzijornu.

 

‘U stòmacghu ngurrija,

povaru mendicanti!

E pensari ch’ ‘e supa

è scrittu «Ristoranti».

Quell’amicizia si consolidò in ospedale, a Locri, dove eravamo ricoverati tutt’e due nella stessa stanza, e dove ebbi modo di conoscere una persona candida come un bambino.

‘U lettu soi è ‘na fera,

‘nu tavulu ‘i cucina,

ma quandu cerca ajutu,

‘nu cani non mbicina.

 

Avogghja pammi brama

ca voli ‘na cammisa,

‘na magghja, ‘nu pigiama:

nugliu si duna ntisa.

 

Ma quandu poti dari

‘nu χjuri, ‘na rrisata,

‘u lettu soi è ‘na fera,

‘na tavula conzata.

Una volta dimesso, lo salutai dandogli appuntamento per la festa del Rosario ormai imminente, dell’anno dopo. Quando passò la festa e non lo vidi arrivare, seppi che era stato falciato da un’auto sulla strada, che non si era nemmeno fermata per prestargli soccorso. Gli dedicai ancora un’ altra poesia, per ricordare un uomo senza storia e senza nessuno, che solo quando poteva dare si sentiva felice:

Sugnu l’amicu ‘i tutti,

non dicu mai ca no:

je’ fazz’‘i v’arriditi

ca sugnu ‘nu Sciarlò.

Li ricordo quasi tutti, quei vecchi tamburinari e grancasciari che venivano nel negozio di generi alimentari di mio padre, quando la festa del Rosario richiamava tanti suonatori forestieri e tanta gente che aveva fame... da vendere.


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