Streghe caprai e ghiri. Irregolari d'Aspromonte
- Gioacchino Criaco
Dal primo minuto del 21 giugno, all’ultimo istante del 23, tanto dura il solstizio d’estate. Ed è con gli ultimi spasmi dei riti orgiastici, con le urla in dissolvenza delle streghe, che badano più all’amore che al maleficio, che i ghiri d’Aspromonte aprono gli occhi alla stagione nuova. Tutti gli abitanti del monte lucente sono refrattari alle regole, ghiri compresi che invece di adattarsi ai risvegli della natura, previsti per primavera, si attardano a dormire fin sulla soglia dell’estate, prendono il testimone dalle streghe e a san Giovanni aprono gli occhi e scatenano gli ormoni. Non tutti a dire il vero, solo i sopravvissuti ai predatori invernali, quelli che non sono stati sorpresi, inermi, nel sonno. Ma irregolari sono anche gli uomini che, predatori per eccellenza, a volte sovvertono la norma.
Così mi capitò di uscire con uno strano pastore, più simile a un soldato che a un capraio, esiliato dal mondo in una casa di pietra, dentro un bosco di lecci. Non vi dirò come e perché ci finii, né chi fosse, ma con lui andai dietro alle sue capre per tutto il giorno. Camminavamo veloci insieme alle bestie, fendendo una nebbia leggera e profumata. Attraversammo boschi di querce, pinete e faggeti. Le capre danzavano fra gli alberi, silenziose. Rubavano le cime alle eriche e alle ginestre e andavano avanti, senza soste. Ci ritrovammo fra i tronchi di un castagneto. Lui si bloccò fra gli alberi, e io gli sbattei contro. Si avvicinò alle fenditure che si aprivano sul tronco di un castagno e prese ad annusare l’aria. Alzò un’ascia e iniziò a colpire un punto alla base dell’albero. Lacerò la corteccia, aprendo un piccolo varco nel quale infilò il braccio. Uno alla volta tirò fuori quindici palle di pelo grigio. Ghiri.
Li mise nello zainetto che portava sulle spalle e tornò a correre dietro alle sue bestie. Rientrammo col buio, nella sua casa fra i lecci. Lo guardai con trepidazione mentre tirava fuori i ghiri. Lui mi sorrise, mettendomi sotto il naso uno degli animaletti. Una zaffata acida di urina mi penetrò nelle narici. Il pastore-soldato salì sul tavolo, “passameli” disse. Raccolsi una alla volta quelle calde vite dormienti e con delicatezza le deposi nelle sue mani.
Lui le infilò fra le travi e le tegole del tetto. “Staranno al caldo e lontani dai gufi. Vedranno una nuova estate, dopo aver ascoltato il piacere delle streghe”, disse.