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Zittire don Carlo, fermare le sua rivoluzione

  •   Cosimo Sframeli
Zittire don Carlo, fermare le sua rivoluzione

All’interno della Chiesa Madre, costruita circa mille anni fa, su di ogni colonna era collocato un quadro raffigurante una scena della passione di Cristo. Su di un lato, una statua con le anime nelle fiamme del Purgatorio, in attesa di essere salvate e, bene in vista, l’Hecce Homo, con la corona di spine e grondante sangue. Ed ancora, il Cristo Morto che era necessario per la “chiamata della Madonna” durante la funzione solenne del Venerdì Santo, quando dal pulpito l’Arciprete chiamava la Vergine, dopo una lunga attesa dietro la porta della Chiesa, e le consegnava, simbolicamente, il corpo di Gesù crocefisso, invitandola a guardare quel corpo flagellato, quelle mani trapassate dai chiodi, quella testa con la corona di spine! In maniera provocatoria, chiedeva ai presenti chi lo avesse ucciso ed il perché? Egli era morto per tutti. E per tutti era stato crocefisso. Proprio per salvare le anime dalle fiamme dell’Inferno, dalla dannazione eterna! Ciò nonostante, il mondo ugualmente stava andando verso la perdizione e la colpa era da ricercare proprio in quelle persone che si erano allontanate dalla Chiesa e che avrebbero pagato con le fiamme eterne. Irrobustendo, quindi, la voce e rivolgendosi verso la porta, gridava a Maria di entrare per prendere il Figlio. 

Un pastore in missione 

La statua della Madonna, perciò, si immetteva tra i singhiozzi delle donne ed il silenzio degli uomini che rivolgevano lo sguardo a terra. In verità, non si piangeva per Cristo ma per i propri morti, per le proprie sofferenze, per i propri dolori. Finita la celebrazione, si lasciava la Chiesa terrorizzati dalle fiamme eterne; ognuno guardava con sospetto il vicino, potenziale responsabile della morte di Gesù e dei mali del mondo. In quel periodo, un Sacerdote venne mandato in “missione” al paese. Si chiamava don Carlo. Era un giovane di buona famiglia che, anni prima, appena laureato in Lettere, folgorato dalla vocazione, aveva lasciato la propria famiglia, la fidanzata, tutto quel mondo brillante e gaudente, per farsi prete. Non era molto alto né molto bello, ma aveva i tratti fini e gentili, era di modi raffinati. Parlava in maniera semplice e sciolta. La gente lo guardava e lo seguiva estasiata. Un popolo piegato ed impaurito aveva trovato il suo pastore e il religioso aveva trovato la sua gente. Ogni giorno, ogni sera vi era un’iniziativa e la Chiesa scoppiava di fedeli; tutti si riavvicinarono ai Sacramenti. Padre Carlo aveva capovolto il rapporto tra i cittadini e la religione. Aveva dichiarato guerra a certe usanze e credenze, tentando di liberare il credente dalla paura. Il legame tra Chiesa e popolo era stato il timore dell’Inferno, la vendetta di un Dio trascurato o dei Santi. Le Messe venivano celebrate per liberare dal fuoco del Purgatorio e, quanto più impegno i sacerdoti mettevano nel celebrare, tanto maggiori erano le possibilità di abbreviare la pena. Di conseguenza, la sofferenza era la giusta espiazione del peccato e le privazioni una specie di cura preventiva per ottenere Grazia. Don Carlo indicò un’altra via per raggiungere Dio: la via semplice dell’Amore. Dio era libertà, gioia di vivere, speranza e soprattutto amore. Avrebbe voluto che quella gente, che già aveva tanti motivi di sofferenza e di patimenti, vedesse Dio nell’amore per gli altri, nella bellezza del Creato, negli alberi in fiore, nel canto degli uccelli, nel sorriso dei bambini, piuttosto che nel terrore dell’Inferno, nella paura paranoica del peccato. Così, un popolo curvo su se stesso, che aveva subito guerre, epidemie, alluvioni, innumerevoli carestie, rovinosi terremoti, la tubercolosi, incominciò a volere bene questo prete che, come una leggera brezza, soffiava sulla polvere secolare, svecchiando un modo di essere della Comunità cristiana incapace di aprirsi alla Speranza. Uomini e donne affollavano la Chiesa. E intanto, in paese i notabili diffondevano, ad arte, storie di impossibili avventure amorose e di improbabili collusioni con la mafia locale da parte del Sacerdote. Una parte del clero e dei politici lo ritenne un affronto intollerabile, un’intrusione inaccettabile e mosse i passi necessari per rimuovere la causa dello scandalo. 

Rimuovere lo scandalo 

Dopo qualche mese lo straniero prelato fu richiamato in Diocesi. Dapprima oppose una qualche resistenza, ma poi decise di sottomettersi alla gerarchia. L’ultima Messa e arrivò il giorno dell’allontanamento. Egli, in grande obbedienza, si lasciò andare alle lacrime e alla commozione. Una folla enorme si riunì nella piazza; tentarono di impedirne la partenza; si attaccarono a lui come ci si attaccava alla speranza. Partì lo stesso e una folla di persone si posizionò su un promontorio per guardarlo andar via. In ognuno di loro continuerà a battere il suo cuore. La rivoluzione di don Carlo fu, per il paese, la più sentita e la più profonda rivolta sociale, una lezione universale di grande rispetto umano. Erano state le profonde radici cristiane a germogliare, ad indicare una strada di speranza, di gioia, di salvezza. Il suo volto, il suo sorriso avevano dato tanto. Era stato uno di loro nelle preghiere, era stato in piazza con loro, aveva affrontato varie situazioni difficili, aveva difeso i deboli e i poveri aiutandoli con tutte le sue forze. Dopo qualche settimana la gente era di nuovo in Chiesa ad ascoltare le storie terribili dei dannati alle fiamme eterne. Padre Carlo, uomo dal cuore grande, difficile da sostituire, passò come un’allegra folata di vento, che sembrava annunciare una primavera ma che presto passò la mano ad un malinconico autunno.


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