Amore e serenate. Le dure regole del fidanzamento
- Tiziano Rossi
Il giovane innamorato si presentava, di notte, con un amico “fidato”, sotto il balcone della sospirata per dedicarle una serenata; questa doveva servire come proposta formale di fidanzamento – per la famiglia della ragazza – e da dichiarazione d’amore per la stessa. Se la famiglia della ragazza non era consenziente alla proposta di fidanzamento, per il giovane spasimante erano dolori. La serenata si chiudeva, infatti, con insulti e secchi d’acqua che la mamma della fanciulla versava, indispettita, dalla finestra.
Se, invece, la famiglia accettava di buon grado la serenata, allora tutto diventava più facile: la porta di casa si apriva, il ragazzo entrava, prendeva accordi coi genitori della sospirata e, il giorno dopo, entrava in scena ‘u mizzòtaru: colui che provvedeva a mediare e portare avanti le trattative tra le due famiglie (condizioni, abitazione, data di matrimonio, dote, pranzo matrimoniale, ecc.).
Da quel momento in poi il fidanzamento produceva un sacco di diritti e doveri per cui difficilmente poteva essere sciolto. Tornando alla serenata, le esperienze del passato ci insegnano che non erano rari i casi in cui, il “menestrello”, cantando per conto dell’amico, rimaneva lui stesso innamorato della ragazza. Figuriamoci le dicerie! In tal caso, trattandosi di “dolori di cuore” e di famiglia, molto gravi, era il giovane tradito a prendere l’iniziativa: indispettito si presentava sotto il balcone dell’amata e, in preda ai morsi della “rabbia”, dava di piglio ad alcuni versi di “sdegno”.
A questo punto, se la ragazza non s’affacciava, quanto meno per smentire le dicerie del paese e dare un cenno di conforto al giovane, voleva significare che anche lei si era innamorata del “menestrello”. Ma, la serenata di “sdegno” o di rottura era un caso limite; quasi nella totalità delle volte il fidanzamento veniva accettato e, dopo alcuni giorni, il ragazzo portava i propri genitori presso la famiglia dei suoceri per chiedere la mano della figlia e la ragazza veniva “singata” (segnata): davanti a parenti e amici, il fidanzato metteva ufficialmente l’anellino al dito della fanciulla e da quel momento le due famiglie erano legate da vincoli indissolubili di parentela.
Davanti al mizzòtaru i consuoceri (sumpèssari), concordavano la vita economica – se così si può dire – della futura coppia. Trattandosi di una cosa familiare davvero seria, l’inadempienza da parte di una delle due famiglie, causava lo scioglimento definitivo del fidanzamento (era proprio questo il motivo per cui spesso si ricorreva al notaio).
LA SANTA BENEDIZIONE E IL MATRIMONIO
Quindici giorni prima del matrimonio, genitori e parenti del fidanzato compravano la fede per la sposa; viceversa, genitori e parenti della fidanzata compravano la fede dello sposo. È giunto il giorno del tanto atteso “sì”. La sposa, dopo avere indossato l’abito (comprato sua insaputa dai familiari), si recava al cospetto del padre e, inginocchiandosi per terra, gli baciava la mano per ricevere la “Santa benedizione”.
Il padre (o, in sua assenza, il figlio più grande), presa la sposa sotto braccio, l’accompagnava in chiesa, creando un un nutrito corteo di parenti, amici e invitati. Al termine del rito religioso, all’uscita della chiesa, sugli sposi venivano lanciate manciate di riso, confetti, grano, monetine, quale augurio di ricchezza. I bambini facevano ressa sul piazzale della chiesa per raccogliere i confetti che piovevano a chili sul selciato. Il pranzo nuziale avveniva casa della sposa, all’aperto, all’ombra dei nostri uliveti secolari; il menu, in linea di massima, era a base di pasta d’a zzita (maccheroni), carne di capra, polpette, frutta, ecc. Talune volte (le famiglie che se lo potevano permettere) ammazzavano un vitello. Ad allietare il pranzo non potevano mancare l’organetto e il tamburello che procuravano allegria fino al tardo pomeriggio. In alcuni casi le famiglie optavano per un ricevimento a base di dolci e liquore. Prima del commiato, gli sposi, con un vassoio argentato, per mezzo di un cucchiaio grande, distribuivano agli invitati 5 confetti (cugghjandri) in una sorta di carta oleata raccolta a mo’ di fazzoletto, su cui era scritto “Sposi”.
LE DOMANDE SCOTTANTI
Gli uomini dove vedevano (e sceglievano) le loro amate?
La fase di corteggiamaneto, generalmente avveniva nelle zone in cui vi erano delle fontane, dove le ragazze si recavano continuamente a riempire la brocca dell’acqua (cortara). Da questo andirivieni della ragazza (dalla casa alla fontana e viceversa), tra sospiri, sguardi e ammiccamenti, tra i due nasceva l’amore.
Quali erano le regole del fidanzamento?
Il fidanzamento sottoponeva i due innamorati a delle regole molto severe:
1) i fidanzati non potevano uscire da soli;
2) non potevano sedersi accanto;
3) lui poteva andare a casa della fidanzata massimo due tre volte alla settimana;
4) il fidanzamento non doveva durare molto a lungo (i cosi longhi si fannu serpi, dicevano i familiari della ragazza);
5) i fidanzati (zziti) potevano scambiarsi dei regali, ma, in caso di rottura del rapporto, venivano restituiti dal primo all’ultimo, specie se si trattava di regali in oro;
6) e altre condizioni che dipendevano dal grado di emancipazione delle due famiglie.