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Artigianato calabrese. U panaregliu

  •   Francesco Tassone
Foto di Mimmo Catanzariti Foto di Mimmo Catanzariti

Fra i tanti articoli dell’antica tradizione dell’artigianato calabrese, le ceste, che in dialetto sono chiamate panari, sporte, sporteja a seconda della forma e dimensione, rappresentano un fiore all’occhiello. Venivano usate come contenitori per la raccolta di frutti e ortaggi, di funghi o castagne, ma anche per presentare doni. Con sporte esporteja si era soliti portare il rancio agli uomini che zappavano la terra o che provvedevano alla mietitura nel mese di giugno. Erano le donne a preoccuparsi per il recapito delle squisitezze e lo facevano appoggiando il cesto sulla testa e mantenendolo in equilibrio sino a destinazione. Il tutto era ammortizzato da una coroncina di felci o di ginestra oppure da un torcione di stoffa anche se non era sporadico l’uso del grembiule o del fazzoletto copricapo. I commercianti, abitualmente, esponevano la merce nelle ceste durante i mercati, oppure, una volta bardati asini o muli, giravano per le vie dei paesi esercitando una vendita a domicilio. Anzi più che di vendita si trattava di vero e proprio baratto. Così i montanari scambiavano patate e fagioli con olive e olio delle genti della marina.

I panari di vimini venivano intrecciati con stecche di canna e rami di salice in forme circolari e con il manico ad arco. L’intrecciatore di vimini è un mestiere che sta scomparendo, sono rari ormai i maestri intrecciatori cestai. Tuttavia è possibile vedere i vecchi maestri all’opera nei paesini delle Serre Calabre. È uno spettacolo di rara bellezza: i movimenti armonici di mani esperte, accarezzando i rami, danno forma ad un intreccio che presto si trasforma in cesta, cestino, panaro, cannistra, fiscina. Ed è affascinate imbattersi in una via del centro storico di Soriano Calabro, nell’entroterra delle Serre vibonesi e vedere all’opera, oltre che il cestaio, l’impagliatore di sedie, il vasaio, l’ombrellaio. Mestieri che ci lasciano l’amaro in bocca e che le imitazioni della Cina non riusciranno mai ad addolcire. Quei mestieri sui quali sono stati costruite storie e aneddoti. Ve ne propongo uno, giusto per una risata. Un venditore bandiva il suo aceto forte «Acitu forti! Acitu forti signò!». Un altro cercava di vendere i propri ombrelli «Para acqua signori! Para acqua signori!». Un terzo proponeva cinture «U currijaru di Surianu!». La gente udiva acitu forti, acitu forti, signò. Para acqua signori, para acqua signori. U currijaru e Surianuuuuuu. Che tradotto in italiano vorrebbe dire: aceto forte, aceto forte, signori, sembra acqua signori sembra acqua signori. L’hanno mandato via da Soriano Calabro.


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