Aspromonte Greco. L'antica arte dei caprai
- Francesco Violi
Per comprendere la straordinaria valenza delle tradizioni, che la cultura greco-calabra ci ha rimandato, occorre immergersi nel variegato mondo agropastorale dell’Aspromonte greco.
Dalle colline della marina fino alle cime maestose della grande montagna, pastori e massari ancora parlano e vivono dell’arte antica. Ed è grazie a questo micro cosmo che si comprende l’importante valore simbolico nascosto dietro semplici manufatti o banali oggetti, utili nella vita quotidiana.
Durante il pascolo e durante le giornate piovose i pastori impiegano il tempo lavorando il legno, presente in grande quantità nella nostra montagna. Nascono così una serie infinita di oggetti e di utensili indispensabili per la casa ma soprattutto per la vita della campagna e nei boschi.
Fin dai tempi più remoti la lavorazione è rimasta sempre la stessa: un pezzo di legno e un buon coltellino sono sufficienti per dar origine a vere e proprie sculture. Ancora oggi si preferisce usare la tecnica dell’intaglio a mano e, anche se gli oggetti vengono utilizzati poco nella quotidianità, un tempo rappresentavano l’utensileria preminente nelle attività agropastorali. Il legno è l’elemento maggiormente usato: in particolare si presta benissimo alla lavorazione quello di noce, di pero selvatico, di erica, di agrume, di faggio, di pioppo, di ciliegio, di gelso nero (to sicaminò màvro), di giunco e di pungitopo.
Una volta sistemata la mandria i pastori forgiano ed a intarsiano il legno con la stessa maestria e bravura di scultori di grande fama. Quindi dai diversi tipi di legno vengono realizzati una serie di utensili come la capinda, un bastone, ricurvo da un lato, usato come bastone da appoggio, le càspie, bicchieri intarsiati con motivi floreali alternati a rami o petali spinosi, e i suratùri, un vero e proprio filtro per far colare il latte. Quest’ultimo oggetto è composto da un piccolo bicchiere poggiato su una base leggermente allungata, sempre in legno e sempre finemente lavorata ad intarsio su entrambi le parti; il bicchiere, con un piccolo foro a forma di croce greca sul fondo, e la base (solitamente ricavati da un unico pezzo di legno) sono divisi da una foglia di felce che funge da filtro, appunto.
La stessa forma del suratùri la ritroviamo nella mistreddhà, un utensile che serve a pressare il formaggio fresco, incidendo su esso il segno della croce greca (ricavata dal traforo effettuato sul legno) ad espressione di un marchio che vuole simboleggiare l’importanza della religione cristiana molto diffusa nel mondo agropastorale. Questa simbologia trova le sue radici nella religiosità bizantina: la dimostrazione di tutto questo è possibile trovarla in una decorazione di un piatto e di un candeliere conservato nel museo di Iràclion nell’isola di Creta.
Altri utensili che servono alla lavorazione del latte e dei suoi derivati sono i clastrì(semplici bastoni per la quagliata) e la mistra (cucchiaio). Particolare interesse, invece, rivestono le musulupàre, utensili adatti a pressare il formaggio dai cui calchi si hanno imusulùpi (un formaggio fresco simile alla tuma) a forma di mammella o di donna con le labbra serrate a testimonianza del periodo di astinenza durante il periodo della Quaresima. Non mancano nelle decorazioni elementi geometrici che rimandano ad altri oggetti dell’artigianato agropastorale come le coperte di lana e di ginestra nonché in altri oggetti liturgici della tradizione religiosa ortodossa. La parte esterna dellemusulupàre, ossia quella non interessata al calco, è decorata con figure di animali, soprattutto pecore ed uccelli. Un altro esempio di questa arte pastorale sono i plumìa(timbri per dolci) a forma di capitelli rovesciati tali da costituire due bracci penduli uniti tra loro e ricavati da un unico pezzo ligneo. All’estremità di questi due “capitelli”, vi è incisa la croce greca che poi rimarrà impressa sul dolce “marchiato”, come prova e come ringraziamento della buona riuscita dell’alimento prodotto mentre il resto del plumìa viene decorato con motivi floreali. Alcune di queste incisioni le possiamo trovare sui collari che servono a mantenere i campanacci sul collo delle greggi ovine e caprine, realizzati quasi sempre con legno di gelso nero opportunamente trattato e poi inciso con i motivi della croce greca, delle foglie, di linee che riprendono i solchi dell’aratura. Le testimonianze della storia di questa terra, oltre alla lingua, quindi, si sviluppa e di diffonde nel mondo agropastorale in una sorta di arte che coinvolge pastori e contadini, massaie e consumatori.