Sant’Agata del Bianco. Il cuore, ancora vivo, di Saverio Strati e la missione del giovane Sindaco
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Saverio Strati, anima persa di Sant’Agata del Bianco.
Fuggì dal paese che era già grande, per riuscire a studiare e per trovare un lavoro. E camminò in cerca di vita lungo strade ancora oggi a noi note, ma a Firenze, a Scandicci, e persino nella lontana Svizzera, trovò sempre e solo Sant’Agata. L’Aspromonte. E i volti dei familiari e dei compaesani lontani.
Si sveglia troppo tardi il suo paese, proprio ora che Saverio Strati non c’è più. E solo oggi conteggia l’amore che un narratore senza uguali ha lasciato impresso in ogni rigo dei suoi scritti. Malapolitica, maligovernanti e gente che non ha mai battuto i pugni per appropriarsi di questo patrimonio di antropologia, letteratura e umanità.
Saverio Strati, il sogno e il pallino del sindaco Domenico Stranieri, tanto da avere avuto l’ardire di inserirlo come obiettivo del programma elettorale. E i cittadini finalmente l’hanno compreso, e condiviso, ed oggi pretendono che la politica e la forza dei nuovi amministratori restituisca loro la storia.
A neanche due mesi dall’elezione del 5 giugno, in questa serata di cultura, jazz e rum, l’anima dello scrittore pare aleggiare nel vecchio borgo, illuminato per l’occasione con luci soffuse e candele, e ripulito a dovere dai ragazzi di Sant’Agata.
Cultura. Con gli inediti raccolti nel libro della scrittrice Giusy Staropoli Calafati, a cui va il merito di aver fatto della sua passione per lo scrittore santagatese una autentica battaglia, finalizzata alla riscoperta e alla ristampa dei libri del Campiello calabrese, sconosciuti alle librerie e a gran parte del nostro mondo.
E ancora cultura. Con la testimonianza dell’acclamata portavoce del mondo stratiano, Palma Comandè, cresciuta in quella casa recuperata solo all’esterno e giustificata da una targa ancora vuota – seppur carica di significato – e dagli squarci romantici della piazzola difronte, il luogo dei giochi di Tibi e Tascia.
Una porta chiusa, per non mostrare il fallimento della passata politica santagatese, e più di duecento persone, unite, stasera, dalla speranza che la casa di Strati divenga presto all’altezza dell’uomo che questo scrittore fu.
Ed un sindaco, giovane, dai sogni intatti, col duro compito di ricucire, nel breve periodo del suo mandato, cinquant’anni di politiche sbagliate…
La lettera con cui Strati chiese il sostegno della Legge Bacchelli:
Io, Saverio Strati sono nato a Sant’Agata del Bianco il 16 agosto 1924.
Finite le scuole elementari, avrei voluto continuare gli studi ma era impossibile, perché la famiglia era povera. Mio padre, muratore, non aveva un lavoro fisso e per sopravvivere coltivava la quota presa in affitto. Io mi dovetti piegare a lavorare da contadino a seguire mio padre tutte le volte che aveva lavoro del suo mestiere. Piano piano imparai a lavorare da muratore.
A 18 anni lavoravo da mastro muratore e percepivo quanto mio padre ma la passione di leggere e di sapere era forte. Nel 1945, a 21 anni, mi rivolsi a mio zio d’America, fratello di mia madre, per un aiuto. Mi mandò subito dei soldi e la promessa di un aiuto mensile. Potei così dare a Catanzaro a prepararmi da esterno, prendendo lezioni da bravi professori, alla maturità classica. Fui promosso nel 1949, dopo quattro anni di studio massacrante.
Mi iscrissi all’università di Messina alla facoltà di Lettere e Filosofia. Leggere e scrivere era per me vivere. Nel ‘50-‘51 cominciai a scrivere come un impazzito. Ho avuto la fortuna di seguire le lezioni su Verga del grande critico letterario Giacomo De Benedetti. Dopo due anni circa di conoscenza, gli diedi da leggere, con poca speranza di un giudizio positivo, i racconti de “La Marchesina”. Con mia sorpresa e gioia il professore ne fu affascinato. Tanto che egli stesso portò il dattiloscritto ad Alberto Mondadori della cui Casa Editrice curava Il Saggiatore. Il libro “La Marchesina” ebbe il premio opera prima Villa San Giovanni.
Alla “Marchesina” seguì il primo romanzo “La Teda”, 1957; alla “Teda” seguì il romanzo “Tibi e Tascia” che ricevette a Losanna il premio internazionale Vaillon, 1960. Ho sposato una ragazza svizzera e ho vissuto in quel paese per sei anni. Da questa esperienza è nato il romanzo “Noi lazzaroni” che affronta il grave tema dell’emigrazione. Il romanzo vinse il Premio Napoli. Nel 1972 tornato in Italia la voglia di scrivere è aumentata. Ho scritto “Il nodo”, ho messo in ordine racconti, apparsi col titolo “Gente in viaggio”con i quali vinsi il premio Sila. Negli anni 1975-76 scrissi “Il Selvaggio di Santa Venere” per il quale vinsi il Supercampiello, nel 1977. A questo libro assai complesso seguirono altri romanzi e altri premi. Il romanzo “I cari parenti” ricevette il premio Città di Enna; “La conca degli aranci” vinse il premio Cirò; “L’uomo in fondo al pozzo” ebbe il premio città di Catanzaro e il premio città di Caserta. Nel 1991 la Mondadori rifiutò, non so perché, di pubblicare “Melina” già in bozza e respinse l’ultimo mio romanzo “Tutta una vita” che è rimasto inedito.
Con i premi di cui ho detto e la vendita dei libri avevo risparmiato del denaro che ho usato in questi anni di silenzio e di isolamento. Ora quel denaro è finito e io, insieme a mia moglie mi trovo in una grave situazione economica. Perciò chiedo che mi sia dato un aiuto tramite il Bacchelli, come è stato dato a tanti altri. Sono vecchio e stanco per il tanto lavoro. Sono sotto cura, per via della pressione alta. Esco raramente per via che le gambe amomenti mi danno segni di cedere. Nonostante questi guai porto avanti il mio diario cominciato nel 1956. Ho inediti, fra racconti e diario, per circa 5000 pagine. La mia residenza è a Scandicci.