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Bovalino Superiore. Affruntata e canti

  •   Filippo Musitano
Bovalino Superiore. Affruntata e canti

Il canto ha avuto una parte importante nelle religioni che si sono susseguite sin dall’inizio della storia umana. Al pronunciare anche solo delle sillabe insensate, o delle sequenze di vocali, modulandole con la voce o accompagnandole con semplici strumenti, è stato sempre attribuito un potere immenso. Un potere capace di collegare, in modo molto più efficace di qualunque semplice preghiera, col mondo extraumano.

LA MAGGIOR PARTE dei canti cristiani, addirittura anche molti proverbi, sono incentrati sulla Passione di Nostro Signore Gesù, e i testi su questo argomento superano in gran lunga quelli inerenti la Natività, come numero e qualità. Di questa categoria fanno parte i canti eseguiti durante la Settimana Santa a Bovalino Superiore, tramandati da secoli oralmente all’interno dell’Arciconfraternita Maria SS. Immacolata, custode della cultura del paese. Sono componimenti dalla metrica e il linguaggio diversi, poemetti lunghi dai dieci a più del centinaio di versi, o anche canti dialettali creati da chissà quale semplice popolano. Eppure, nella loro diversità, hanno molto in comune. Note lunghe, gravi, funebri prevalgono e rendono coinvolgente l’atmosfera, ma sono già le caratteristiche intrinsiche della musica a colpire. Si è sensibili alla musica a livello fisiologico, psicologico, affettivo, estetico. La musica ha un potere unico nel risvegliare associazioni emotive, affettive, totale adesione a quello che sta accadendo intorno, trasforma la coscienza, sconvolge. E ci colpisce anche fisicamente e fisiologicamente, internamente.

SONO TESTI dall’andamento lirico-poetico, in un clima crescente che fa salire sempre più la tensione emotiva, in cui i soggetti sono sempre ricordati e accompagnati da aggettivi ricorrenti (Gesù mio, Madre Addolorata, noi peccatori): “pien di piaghe e lividure/ Deh! Contempla ,o peccatore,/ spasimante pel dolore, /il mio Dio che in croce sta”. Hanno una funzione didattico-dottrinale come, del resto, tutte le funzioni della settimana santa, con il loro voler spiegare al popolo ignorante, in maniera teatrale, la Passione, la Morte e la Rerruzione di Gesù. Vengono elencati i vari oggetti che sono stati usati per torturarlo e ucciderlo, oggetti che prendono quasi vita, hanno una propria coscienza e una propria colpa: “o fieri flagelli”, “o spine pungenti”, “o chiodi crudeli”, e tanto sembrano animati da venirgli chiesto di “non più tormentare l’amato Gesù” .

CHI CANTA sente la propria voce all’interno, e non solo mentalmente; è come se qualcuno ci stesse ripetendo un qualcosa. Ciò fa vibrare la laringe, il torace, l’addome, la cavità orale, fa vibrare il capo. Inoltre la musica e il canto producono onde sonore che ci abbracciano, ci colpiscono, muovono l’aria.

E NELLA NOTTE del Venerdì Santo, mentre si accompagna l’Addolorata al Calvario, i silenzi del paese vengono interrotti dal suono delle tocche e dei cararaci, strumenti in legno che con il loro suono battente, metallico, secco, battono l’anima del corteo, come i colpi dei soldati battevano il corpo di Cristo. E le lacrime rigano il volto delle donne che, devote, si commuovono di fronte al simulacro dell’Addolorata, ammantata nel suo nero, evocando emozioni forti. Un dolore materno che la rende quasi umana, sorella. Per lei si elevano parole dolci e melanconiche, compassionevoli, come quelle che si rivolgono a Dio nei momenti di maggiore dolore e sconforto. Spesso questi vengono eseguite fisicamente e metaforicamente al Calvario, luogo in cui Gesù ha maggiormente sofferto ed è morto, e dove la Madre si è prostrata con l’anima trafitta ai suoi piedi. E il popolo nel momento più intenso di pietà popolare canta: “Ah! Piang’Ella pel dolore/ ha impietrato il cuore in petto/ nel vedere il suo diletto/È il mio Dio che in Croce sta” oppure “Sotto gli occhi tuoi materni/ Gesù pende sulla Croce/ vedi il sangue,odi la voce;/ Ah! Lo vedi al fin spirare/ […]/ nelle stesse acerbe pene/ ah!potessi anch’io morir”.

ALLA FINE la paura, il dolore, la morte sono sconfitti: Gesù risorge, ed esplodono gli inni, dialettali, di gioia, semplici e brevi, mentre si cammina con Gesù. San Giovanni corre, sempre più accorato, per annunciare il messaggio di amore e speranza “Gesù è Risorto”. E la Madre, infine, accorre a riabbracciare il Figlio Risorto, cade il nero lutto, per far risplendere l’azzurro e il color d’oro del vestito della Vergine, tra il rullare di botti scuri, mentre la banda suona il Mosè. I fedeli cantano: “Chi alligrizza e chi jornata/ chi Maria fu cunsulata,/ cunsulata in tutti l’uri:/ risuscitau Nostru Signuri”. Canti conosciuti sin dall’infanzia, e che, insieme alla varie manifestazioni della Settimana Santa, ci hanno fatto scendere le prime lacrime di commozione religiosa.

«Vieni a pianger sul Calvario

i tuoi falli, anima mia.

Vieni a piangere con Maria

per la morte di Gesù.

O Maria, diletta Madre,

mesta in volto, mesta in cuore,

compatisco il tuo dolore,

grande e immenso come il mare.

Sotto gli occhi tuoi materni

Gesù pende sulla Croce.

Vedi il sangue, odi la voce;

ah! Lo vedi al fin spirare.

Qui mi fermo a piè del legno,

or il figlio, or te mirando.

Ti presento, a quando a quando,

una lacrima, un sospir.

Deh! Mi valga il tuo martirio

e la morte del tuo Bene.

Nelle stesse acerbe pene,

ah! Potessi anch’io morir.»

(Canto della tradizione orale)

*L’affruntata è una rappresentazione religiosa delle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia e della parte meridionale della provincia di Catanzaro, dove è conosciuta anche con il nome di Cunfrunta nel periodo di Pasqua. Come tante tradizioni popolari ha origini pagane. La manifestazione si svolge per le strade e nelle piazze dei comuni, dove tre statue (raffiguranti Maria Addolorata, Gesù e san Giovanni) vengono trasportate a spalla per simboleggiare l’incontro dopo la resurrezione di Cristo. La statua di San Giovanni fa la spola tra le altre due per 3 o 5 volte (il numero dei passaggi varia da paese a paese) avanti e indietro, con passo sempre più veloce, come messaggero della resurrezione di Cristo. All’ultimo passaggio si incontrano, correndo davanti a Gesù, san Giovanni da una parte e L’Addolorata dall’altra. All’incontro il velo nero del lutto viene tolto dalla statua di Maria, la cosiddetta “sbilazioni” o “sbilata”, lasciando visibile un vestito di festa. Una cattiva riuscita della funzione è, secondo la tradizione, presagio di sventura per la comunità. Incanto. Per decidere chi porterà la determinata statua si utilizza un sistema d’asta, detto “incanto”. Tuttavia in molti centri (come ad esempio Vibo Valentia) la scelta viene effettuata di anno in anno secondo criteri di robustezza o secondo privilegi ereditati dalle singole famiglie.


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