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Caraffa del Bianco. L'ultima maestra di telaio

  •   Domenico Stranieri
Rosa Tedesco seduta davanti al suo telaio. Foto di Maria Grazia Voloná Rosa Tedesco seduta davanti al suo telaio. Foto di Maria Grazia Voloná

Era come l’inizio di un antico rituale. Si aveva questa impressione quando Rosa Tedesco, l’ultima grande maestra di telaio, si approntava a tessere. La preparazione di tutto, òrditura, aveva qualcosa di misterioso, esoterico. É difficile persino descriverla a parole.

La sua discepola, Grazia Volonà, la seguiva in questa particolare funzione, innanzi ad un muro di pietra, dove in silenzio, sulla crucièra, si stabiliva la lunghezza e la larghezza delle coperte di seta. Era la base del lavoro. Il disegno si definiva a parte.

Rosa Tedesco, di Caraffa del Bianco, era, a sua volta, l’allieva prediletta di Agata Borgia (a Giànzina) che le insegnò tutto dell’arte del telaio. Prima di morire le donò anche il suo gràstellu, uno strumento di legno indispensabile per dividere i fili del tessuto all’inizio del lavoro d’intreccio (in attesa di riempire u pettinu). Quasi un riconoscimento simbolico per chi l’aveva seguita fin da bambina ed era ormai pronta a sostituirla, ad essere lei una maestra. Difatti, non c’era nessuno (giornali, tv, scuole ecc..) che occupandosi degli antichi mestieri del nostro territorio non andava a trovarla. E sicuramente il ritmo del suo telaio (nel tempo del progresso privo di ogni senso umano) non era dissimile da quello delle donne greche e latine descritte nei poemi epici. Ma non era un ritmo “freddo”, meccanico.

 

Di Rosa Tedesco (scomparsa alla fine di settembre) basterebbe, difatti, narrare solo gli occhi, la gioia che traspariva quando arrivava con tutti gli arnesi per òrdire (anche fino a 10 coperte). Aveva un modo tutto suo, poi, di prendere posizione al telaio. Era raffinata ed infaticabile. Tra le tante cose, era pure discendente di Vincenzo Tedesco, il religioso a cui si deve la Memoria dei luoghi antichi e moderni del circondario di Bianco, un’opera fondamentale, pubblicata a Napoli nel 1856.

 

Con lei, dunque, se ne va un mondo, poiché la sua tecnica, oltre a rappresentare un fenomeno culturale, era innanzitutto una maniera di stare nella realtà, di tenere insieme le importanti lezioni del passato con i progetti del futuro. Non si fermava mai, difatti, Rosa Tedesco, nemmeno quando la malattia le rendeva incerti i movimenti.

 

Lei continuava ugualmente a piegare la testa su qualche coperta, per coglierne meglio la luce. E mentre l’osservava pensava sempre alla stessa cosa, magari tratteggiando un disegno nella mente. Ovvero che, nei prossimi giorni, c’era ancora tanta seta da lavorare.


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