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Gli antichi mestieri. Campanacci in cuncertu

  •   Mimmo Catanzariti
Pastore dell’Aspromonte orientale (foto di Francesco Depretis) Pastore dell’Aspromonte orientale (foto di Francesco Depretis)

I riti, le cerimonie, le norme e i valori, le credenze e i comportamenti sono le principali manifestazioni, attraverso le quali abbiamo chiara la visione della cultura di un popolo, nella fattispecie quello calabrese. L’osservazione di queste caratteristiche, nei contesti naturali e antropici, ci permette di conoscere un paesaggio culturalmente complesso, in cui le connotazioni popolari sono comunque vive, veicolate ancora in modo tradizionale.

Molte di queste caratteristiche appartengono alla cultura dei pastori calabresi, relegati ormai in una dimensione favolosa che sconfina nei miti arcaici. Miti che si conservano non nel senso archeologico del termine, ma, al contrario, con una visione “antropologica”, volta a una loro individuazione, in quanto parte di un sistema di tradizioni e valori condivisi e appartenenti a una cultura ancora viva e ricca di espressioni. Una di queste manifestazioni, e tra le più interessanti, è l’uso dei campanacci per l’allevamento del bestiame.

I campanacci sono costruiti ormai da pochi artigiani specializzati, i soli in grado di forgiare il metallo per farlo suonare. Dietro l’immagine un po’ rustica dello scampanìo delle “murre” degli animali al pascolo, si nasconde una varietà di aspetti tecnici, funzionali e musicali. I pastori accordano i campanacci con una complicata e attenta martellatura, effettuata nei vari punti degli strumenti. Una volta messi al collo degli animali, i campanacci devono suonare accordati gli uni con gli altri. Di solito vengono acquistati a coppia, selezionandone uno maschio e uno femmina in base al suono, ma alcuni pastori scelgono le campane a gruppi di tre alla volta, distinguendoli a “cuncertu” o a “musica”.

La scelta dei campanacci e la successiva accordatura si basano su criteri di carattere musicale differenti da zona a zona, ma sempre indirizzati a ottenere un preciso risultato sonoro. Tramite i campanacci i pastori riescono a tenere sotto controllo il gregge anche a distanza operando la sorveglianza mediante ascolto, riuscendo persino a capire se gli animali stanno pascolando, correndo o ruminando. Anche di notte lo scampanìo improvviso li avverte della presenza di eventuali pericoli quali i lupi o i ladri. In base al tipo di animale, si usano campanacci di differenti misure. Per le capre, ad esempio, sono impiegate fino a sette differenti misure e, a seconda della tonalità che si vuole dare al singolo oggetto, si allarga o si restringe la bocca del campanaccio.

Si parte dalla “campana grande”, poi a scendere di dimensione con il “menzetto”, fino al “sottile”, che sono per dimensione e tonalità le campane di riferimento per l’accordatura della “scala”, come viene chiamata dai pastori. Tra la campana grande e il sottile, si posizionano le altre campane, accordate in modo che si abbia effettivamente una vera e propria scala musicale, nella quale i campanacci formano quasi un’orchestra, che suona all’unisono in modo armonioso.

La cosa strana è che i pastori, di notazione musicale, non hanno cognizione alcuna, però riescono ad orecchio ad accordare in modo preciso ogni singolo campanaccio e, questa particolarità, si tramanda tra di loro fin da quando si ha memoria.


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