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Il dialetto calabrese e le contaminazioni straniere

  •   Antonella Italiano
Il dialetto calabrese e le contaminazioni straniere

Avete mai pensato di intimidire qualcuno? L’espressione minacciosa potrebbe rivelarsi più chic se ai suoni del dialetto nostrano accostassimo il termine francese buffettuni ojiffula. Non sarebbe troppo sbagliato, considerando che sempre francese è lo sgarro di chi vi ha offeso.

Come è accaduto a me, l’altro giorno, quando ho avuto un increscioso contrattempo. Mentre col fazzoletto asciugavo le posate ho visto un topo vicino al braciere. E quel buontempone del macellaio, invece di aiutarmi, stava lì a mangiare uva e a scherzare col sarto. Che rabbia!

Potrei dirvi tutto questo in francese, se voi me lo chiedeste. Me l’avete chiesto? Va bene allora: travagghiava cu muccaturi pe stuiari na broccia quandu vitti nu surici vicinu o braceri. E gliu sciampagniuni du bucceri era glià chi mangiava racina e catugghiava ucustureri. Chi mangiasuma! ops… Chi raggia!

Ma quando arrivo al limite della sopportazione baratto il francese per lo spagnolo di Castiglia. Ed è il caso di stare lontani da me, perché mi armo di scupetta e, ai primiscamogghi (pretesti), miro alla capezza. O almeno dico. Poi mi accorgo che, in mano, ho solo na cucchiàra, così mi rimetto alla pignata e continuo a cucinare. E resta un semplice sfogo.

E ‘nzertati cos’è? Spagnolo… catalano!

Nelle giornate meno movimentate, invece, siedo volentieri sul gradino di casa, mangio un panino con semi di sesamo, un po’ di carrubba e dolcissima uva dagli acini grossi. Allontano così i pensieri tristi, e non peno più per le cose di poco conto. Relax arabo, in realtà. Vi dico anche questa, ed è l’ultima, giuro. U jornu mi ssettu supra u bizzolu e mangiu pani ca giuggiulèda, poi carùbba e zibbibbu duci. E rassu i brutti penseri, senza i mi lattariu pè c…! (la censura è d’obbligo in questo caso).

Ed ora un “classico”: il greco.

Animali: carcarazza (gazza), bucalaci (lumaca), zzimbaru (caprone). Utensili: bucali(boccale), bùmbula (brocca piccola per acqua), tiganu (tegame). E gli alimenti (sennò chi cucinamu?): timogna (cumulo di grano), scordo (aglio), petrusìnu (prezzemolo),cuddhura (pane di forma circolare). Concludiamo con la frutta: pricopa (albicocca) eciuràsa (ciliegia). E attenti a non ingoiare i curcuci (noccioli). Fanno male!

Fanno male proprio come la nostra Calabria, adorabile ma sofferente. Una terra che, pur essendo stata per secoli la naca di tanti popoli, ora sembra infetta da unachjastima, e stenta a risollevarsi. E mi siddiu quando ci definiscono incolti. Peggio: rozzi. O forse ci suonerebbe più gentile essere “grecamente” chiamati paddechi. La forma cambia, la sostanza è peggiore.

Gravissimo è, infatti, quando siamo noi i primi a vergognarci dei nostri suoni, senza considerare che questi sono, al contrario, il frutto di cultura e di storia. Tanta storia. Se siamo paddechi noi, allora lo sono anche i francesi, i greci, gli spagnoli catalani e di Castiglia, gli arabi. Figuriamoci i latini. Ma “a mala nominata a leva u lupu”. E stavolta ve l’ho detto tutto in calabrese originale. 


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