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L’Affruntata e l’utopia di cambiare la Calabria per legge

  •   Gioacchino Criaco
L’Affruntata e l’utopia di cambiare la Calabria per legge

“Sotto gli occhi tuoi materni

Gesù pende sulla Croce.

Vedi il sangue, odi la voce;

ah! Lo vedi al fin spirare.

Qui mi fermo a piè del legno,

or il figlio, or te mirando.

Ti presento, a quando a quando,

una lacrima, un sospir.

Deh! Mi valga il tuo martirio

e la morte del tuo Bene.

Nelle stesse acerbe pene,

ah! Potessi anch’io morir”.

Dal male al bene, dal martirio alla resurrezione, da Satana a Dio e dal peccato alla purificazione. La gioia di una nuova vita che nasce dalle lacrime per una morte terrificante. Questi sono gli elementi unificanti del rito dell’Affruntata che si ripete a ogni Pasqua in alcune zone della Calabria, una cerimonia antica di secoli e che probabilmente sopravvivrà al tempo a venire. Un fatto di spirito e dell’anima, che ha risposto e risponderà al sentimento dell’uomo. Lo ha fatto e lo farà dappertutto, tranne che a Sant’Onofrio e a Stefanaconi; lì è stata la Legge a decidere e forse lo farà anche in futuro.  E pure chi non frequenta chiese o sacrestie dovrebbe avere rispetto per quelli che lo fanno con sincerità. Come chi non adora la Legge quale dogma, dovrebbe avere considerazione per quanti si sottomettono con convinzione ai dettami dell’ordine costituito. Io non sono un patito, né dei codici né dell’incenso, rispetto l’uno e l’altro ma sono fermamente convinto che essi debbano restare su piani separati, dacché il corpo nasce e perisce nel mondo e lo spirito ambisce a mete ultraterrene. É capitato, però, capita e accadrà di sicuro che i due piani si incontrino e l’uno interferisca con l’altro. Quando ciò avviene se ne origina una reazione, in genere nel breve è la legge ad avere la ragione, salvo il ribaltamento storico operato dal tempo che assegna allo spirito la supremazia. L’ordine costituito non può però attendere il giudizio della storia, opera nell’immantinenza e le regole per essere efficaci debbono produrre effetti nel tempo della propria vigenza. Se le autorità preposte all’ordine pubblico hanno rinvenuto un rischio nei riti religiosi commissariati, altro non avrebbero potuto fare se non agire. Il tempo ci dirà se hanno avuto ragione o meno. Ci dirà anche se hanno agito meglio i fedeli di Sant’Onofrio, rinunciando totalmente al rito, o quelli di Stefanaconi che pur di celebrarlo si sono assoggettati all’ordine prefettizio di scelta dei portatori delle statue del Cristo, della Madonna e dell’Evangelista Giovanni. Quel che avvilisce è l’ennesima dimostrazione di impotenza della società calabrese, il non riuscire a eliminare da se gli ostacoli al miglioramento. Quel che dispiace è l’inutilità di un corpo sociale non in grado di utilizzare le regole della morale, dell’intelligenza, del coraggio, molto prima degli interventi dell’ordine costituito. Dispiace veramente che in Calabria non ci siano la cultura, il cuore, la politica a prevenire il male e produrre un modello di sviluppo interno e non imposto. Spiace davvero che tutto si sia ridotto a una questione di regole e che la soluzione a ogni male debba passare attraverso una via giudiziaria e non per mezzo di quello che dovrebbe essere il motore propulsivo di una società, una coscienza collettiva che disegna un sistema sociale operando con lo strumento fondamentale e unico: la Politica. I giudici badano all’applicazione delle leggi e come qualunque organo vitale si espandono in mancanza di altri organi che occupino gli spazi a loro destinati. Il rito dell’Affruntata a Sant’Onofrio o a Stefanaconi, in una società normale sarebbe un fatto di competenza dello Spirito, da noi diventa un fattore di ordine pubblico. E a dire il vero, ogni atto del Cristo è stato, fin dalla sua origine un elemento di disturbo del consesso normativo, che Gesù per prima cosa violò la norma che emarginava i lebbrosi, guarendone uno, e violò la sacralità del Sabato, e tante altre norme violò per il rispetto delle quali i sacerdoti del tempio chiesero a Roma una condanna secondo legge. Così spesso si scopre, col tempo, che tante regole in fondo non erano buone fin dall’origine. Questo però non deve portare a mischiare il sacro con il profano, perché essendo, come siamo, figli della nostra terra, potremmo mettere in un angolo i malandrini che sfilano a ogni processione, e in ognuno dei nostri paesi, accanto al Santo, se non altro per una questione di coerenza perché o si sceglie la Mamma o la Madonna, le due cose insieme non possono stare. E potremmo farlo da soli, senza bisogno di gendarmi. E, d’altro canto, anche prefetti e giudici qualche volta, al rigore della legge potrebbero sostituire la flessibilità del metro di giudizio dando a ogni malandrino la caratura criminale che veramente abbia, magari ci eviteremmo di mostrare al mondo lo stratosferico potere delle ndrine di Sant’Onofrio e Stefanaconi.


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