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La stroncatura: “dal contrabbando alla nicchia”

  •   Mimmo Musolino
La stroncatura: “dal contrabbando alla nicchia”

Chissà che vincerà il derby della piana tra Gioia Tauro e Palmi per la primogenitura della struncatura?

Di sicuro ha vinto questa particolare pasta, di stampo e tempo antico, mettendo a frutto le cosiddette “scopature di magazzino”, prodotta raccattando da terra i resti della farina e della crusca, ed addirittura utilizzata per mangime per animali.

Ed anche questa particolare pasta rustica suscita in me dei ricordi lontani nel tempo ma indimenticabili di quando l’Amicizia era sincera e solare, radicata nel profondo del cuore, senza calcolo e ne interessi, neanche i più legittimi, ed era inossidabile. L’amico Enzo, il ragioniere, solitamente il sabato, insieme a qualche altro suo amico o parente, andava Gioia Tauro (la citazione non significa parteggiare per una o per l’altra città pianigiana, ma è solo la verità dei fatti), e portava, molto riservatamente, un paio di anonimi pacchi di Struncatura.

In qualche buona ricorrenza, solo per stare insieme o quando c’era da dimenticare unastro-ncatura (alias trombatura) solitamente sempre di natura politica, ci incontravamo un gruppo di amici, quasi sempre gli stessi, in un masseria alla periferia della città, in un ampio stanzone con tutti in comfort, che sembravamo dei carbonari. C’era Memmo il ferroviere e padrone di casa, Peppe il preside (ed ambedue improvvisati e bravicucinieri), Santo l’ospedaliero, Umberto il docente universitario, naturalmente Enzo il ragioniere, il sottoscritto ed altri carissimi amici. Il bello, anzi il massimo del buongusto, consisteva che tutti gli speciali ingredienti per la preparazione della salsa per “affogare”la Struncatura erano di provenienza casareccia, ad iniziare dalla mollica che si ricavava dal pane di casa che solitamente mi facevo mandare da Platì, dalle alici sott’olio, e pescate nel mare di Capo Spartivento, l’aglio, i peperoncini, il prezzemolo ed il basilico raccolti, seduta stante, nell’orto, davanti al nostro rifugio, ben coltivato da Memmo, ed i capperi raccolti sulle “armacere” costruite per arginare le sponde della fiumara di Annà-Pentidattilo a pochi metri da noi. L’olio extra vergine di oliva e le olive nere calabresi prodotti nella vicina Bagaladi  ed  infine i pomodori secchi sott’olio che ci arrivavano da Nino  della Spina Santa.  Immaginate che miscuglio, incredibile e sensazionale (nel senso che smuoveva ed esaltava tutti i cinque sensi) di salsa super-aromatizzata e piccante nel quale veniva affogata la “povera” Struncatura che non aveva il tempo di assaporare il “culo” del tegamino (da buongustai non ci accontentavamo del classico piatto) in quanto spariva, in un attimo, tra le nostre mandibole. Il tutto bagnato dal buon vino rosso-rubino, estratto da selezionate uveNegrello e denominato don Pasquale Elisir di Colesi, nel comune Palizzi.

Torniamo alla sfida dei campanili tra Gioia Tauro e Palmi (per la quale città io, segretamente, parteggio in quanto ho studiato per cinque anni all’Istituto agrario), però a me sembra che tra i due litiganti il terzo gode (l’infallibilità dei detti antichi).

Un giorno mi trovavo presso il mulino di Memè, un coraggioso e serio imprenditore, sito a San Leonardo di Melito, specialista di prodotti naturali  ad alta tradizione e ho notato, anche perché era in bella evidenza, una confezione artistica ed in grande stile, mi sono avvicinato ed ho visto che si trattava della Struncatura  di Melicuccà, (prodotto artigianale di grande tradizione ed addirittura Deco (Denominazione comunale di origine) e con la forma a nido come si usa per la pasta di grande pregio che si trova in commercio nei supermercati. E mi sono venuti in mente quelle confezioni anonime di carta rugosa e spessa, forse perché, quasi, di contrabbando di lunghissimi fili di pasta dal colore  avorio scuro e dal sapore amarognolo che ci voleva un ampio pentolone per poterle contenere e mi sono fatto avvolgere dalla nostalgia per quei tempi dove tutto aveva il sapore di una tradizione antica ed incontaminata, quasi nascosta agli occhi indiscreti e agli sguardi sempre più  psichedelici del mondo “moderno”.


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