La tarantella di Polsi, un ritmo tutto aspromontano
- Antonio Strangio
Tuttologi del nulla hanno scritto e raccontato che la tarantella altro non è che il ballo che distingue i mafiosi; nel nostro caso “ndranghitisti”, trovandoci in Calabria e in particolare nel cuore dell’Aspromonte. Una riflessione superficiale e avventata, che non trova riscontro alcuno ed è figlia soltanto del pressappochismo culturale con il quale si sono avvicinati al fenomeno che invece ha radici lontane.
Per capire questo ballo nato in Campania, e via via sviluppatosi e affinatosi in alcune regioni meridionali, su tutte la Sicilia e la Calabria, dove queste “movenze del corpo” esprimono la gioia per la vita, un inno alla vita, bisogna non solo capirlo, ma soprattutto amarlo. Di per sé il ballo è vita, allegria, ragione culturale, modo di essere e di esprimersi, linguaggio; e a Polsi, dove ha accentuato e affinato le sue regole (è l’unico ballo riconosciuto, anche perché gli unici strumenti che circolano sono il tamburello, l’organetto, le ciaramelle e di rado la fisarmonica), assume anche le caratteristiche della preghiera, come osserva molto acutamente Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Locri-Gerace: «Quelle dense di significato, che aiutano nella vigilia di Polsi, che ti cantano la gioia di un paese, che raccolgono le nostre speranze, che parlano di unità e di comunione. La danza si fa così, se ben letta e ben vissuta, il canto della vittoria. La gioia che abbiamo dentro e che va espressa. Per questo, nel mio primo pellegrinaggio a piedi verso Polsi, scopersi quelle soste intessute di tarantella. Non vi ero abituato. Avevo sempre visto il salire verso le vette come un impegno che non può ammettere soste, tutti tesi alla cima, con quel passo cadenzato del montanaro che non concede ripensamenti. Il pellegrinare invece a quel santuario, con un gruppo di persone dei paesi vicini, si trasformò in passi ritmati da danza. Passi del pellegrino e passi della danza. Intrecciati insieme, dentro una preghiera che accompagnava, nel rosario, la nostra fatica. Ecco allora le soste, ecco il fermarsi lungo la via per gustare i panorami, ecco il vento che ti accarezza il sudore sul giogo della montagna, nel primo mezzogiorno».
E in effetti è preghiera perché da solo, questo ballo, che spesso viene definito come il morso della tarantola, si è inserito nel contesto della festa mariana, fino a diventarne una delle espressioni più forti. La tarantella a Polsi quasi si può considerare l’inno non solo della festa, ma anche di tutto l’Aspromonte, diventandone il linguaggio per eccellenza con il quale i paesi comunicano. É ballata dagli anziani in particolare, quelli che con il lento movimento delle gambe, delle mani e del corpo, riescono a disegnare nell’aria geroglifici di grande animazione, ma anche le nuove leve, pur soffocati dai ritmi moderni, quando arrivano a Polsi, non rinunciano al ballo della tarantella e si ubriacano calandosi in questa antica e sana abitudine aspromontana, dove chi vi partecipa è nello stesso tempo ballerino e spettatore, sotto la guida sapiente di un uomo (ma a volte anche delle donne) che, nella sua qualità di mastro da ballo, decide a turno chi può partecipare al ballo che soltanto lui comanda. Lui balla con tutti e tutti ballano con lui.
Ballano i pellegrini che sono arrivati a Polsi da poco e per giunta a piedi; ballano quelli che stanno consumando un lauto pranzo a base di maccheroni col sugo di capra e carne calata nel sugo o arrostita, innaffiato con vino rosso e sincero e ballano soprattutto i pellegrini che, la notte della grande veglia, illuminano lo straordinario e suggestivo panorama che può offrire soltanto il cielo di Polsi, mentre all’interno della chiesa un numero imprecisato di sacerdoti eleva canti e suppliche alla regina dei monti.
Chi non riesce trovare posto nella chiesa, tiene banco nella piazza antistante, ballando vertiginosamente la tarantella, che in questo caso diventa anche un modo per combattere il sonno, dato che il santuario non dispone di posti letto a sufficienza per dare alloggio a tutti i pellegrini presenti, che nella fattispecie superano anche le sette-otto mila anime. Una sorta di preghiera musicale, geograficamente caratterizzata, perché ogni paese il più delle volte si riconosce dal modo di ballare, che diventa ancora più bella e spettacolare quando, a contendersi il cerchio che delimita i ballerini, sono una donna e un uomo. Ora si affrontano due modi diversi di interpretare il ballo: la signorilità e la forza dell’uomo che quasi si pianta al centro della piazza e resta con le mani rivolte al cielo e lo sguardo sulla donna ballerina, e la leggerezza di quest’ultima che gli gira intorno come una gazzella, con frenetica disinvoltura e bellezza. E la striscia di sudore che le cala giù per la tempia quasi diventa la carezza e il saluto dell’uomo che l’ammira riverente, mentre la folla batte le mani e squarcia l’aria odorante dei profumi della grande festa, gridando tutta la sua gioia e la sua partecipazione.
Nel suo primo libro Polsi nell’arte, nella leggenda, nella storia, lo studente liceale Corrado Alvaro dedica alcune pagine al ballo della tarantella. Nel capitolo dedicato alla festa, scrive: «Immaginate: una turba che s’agita nei balli più sfrenati e più originali, centinaia di Zampogne si lamentano in continuazione, su tutto un nutrito fuoco di fucileria. Le giovanette di Cardeto, originali nel loro corpetto rosso allacciato sul petto, si possono dire le regine della danza. Hanno le gambe di ferro, ballano per delle notti intiere sgomentando anche i contadini più forti. Sono due notti e due giorni durante i quali sembra che tutti siano animati da una stessa forza che li scuote; quegli spari, quelle grida, quei suoni inducono nel corpo il moto perpetuo. Lì si vedono i più caratteristici balli delle Calabrie, ubriachi che pretendono di essere ballerini, vecchi che si scuotono goffamente, giovani che riducono la danza a una serie di salti, d’inchini, di genuflessioni, di baciamani, di grida selvagge, e che tenendosi i lembi della giacchetta corta con presunzione di galanteria, fanno i maestri della danza».
Questo è il ballo della tarantella a Polsi, che non è mafia e nemmeno ‘ndrangheta; che non è assordante e incomprensibile rumore, ma un’espressione di fede e di preghiera con la quale s’intende salutare e omaggiare la regina dell’Aspromonte, la Madonna di Polsi, quella vera.
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