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Natile vecchio. La vendemmia secondo tradizione

  •   Mimmo Musolino
Natile vecchio. La vendemmia secondo tradizione

Le ragazze di Natile, Ulisse e Polifemo: Il vino secondo  tradizione. 

Oggi inizia l’autunno, la stagione della vendemmia e venni a conoscenza che a Natile Vecchio, in un antico palmento, scavato nella roccia e portato alla luce, con non poca fatica ed impegno, si sarebbe svolta una tradizionale manifestazione per la produzione del vino come si faceva ai tempi dei nostri antenati. Spremendo (pigiando) i grappoli di uva, posti in dei grandi contenitori, tinozze di legno o grandi vasche, con i piedi rigorosamente nudi. E mi è venuto subito alla memoria visiva una straordinaria scena del film “Ulisse” interpretata dal grandissimo attore americano Kirk Douglas. Ulisse era Il furbo, l’astuto, per antonomasia, guerriero della storia antica e della mitologia, e colui che con lo stratagemma del cavallo di legno riuscì ad espugnare la città di Troia dopo più di dieci anni di sanguinoso assedio. Entrati, insieme ad i suoi compagni di avventure, in una grotta e fatti prigionieri dal gigante Polifemo, il più enorme dei giganti, con un occhio solo al centro della fronte, che sembrava il faro di Capo Spartivento, Ulisse (che disse di chiamarsi Nessuno) pensò di fare bere del vino al terribile ed orribile gigante che si stava nutrendo della carne viva  dei suoi uomini, con la segreta speranza di poterlo ubbriacare. Mandò i suoi uomini a raccogliere uva prodotta in maniera rigogliosa ed abbondante nella terra  dei Ciclopi, ed incitando a più non posso i suoi uomini per essere più veloci nello spremere l’uva con i piedi, ed egli riversava nelle visceri del gigante fiumi di “nettare degli dei”. Naturalmente non si trattava di vino, come noi lo conosciamo e lo beviamo, ma vere e proprie spremute di uva allo stato grezzo e naturale!

Quando Polifemo ne ebbe tracannati un paio di damigiane si addormentò ed Ulisse scappò con i suoi uomini. La storia è lunga assai, ma non è l’oggetto principale di questo scritto. Il riferimento è solo per fare capire, con un esempio storico-mitologico, la grande importanza del vino nella storia del mondo antico e di quello moderno. E poi come non ricordare addirittura Noè e la sua vigna ed il miracolo di Gesù Cristo nelle Nozze di Cana dell’acqua trasformata in vino ecc. ecc. È risaputo che dalla pigiatura dell’uva si forma il mosto e poi tramite la fermentazione alcolica, la trasformazione degli zuccheri (fruttosio) in alcool (alcool etilico) che rappresenta uno dei più incredibili e perfetti processi biochimici naturali, e dopo accurati accorgimenti e conservazione in delle botti di pregiato legno ed oggi sostituite da contenitori di acciaio (gli anziani del paese mi guardarono stralunati e scandalizzati, come se avessi bestemmiato, quando io consigliai di usarli perché più igienicamente sicuri). Torno alla realtà, alla notizia. Certo niente di paragonabile con quanto ho sopra narrato! Immagino Il danzare leggero e ritmato, come leggiadre farfalle, delle donzelle natilesi in costume tipico e tradizionale che volteggiavano sui grappoli d’uva bagnata di rugiada settembrina e si vedevano gocce di mosto color porpora schizzare dagli acini e che a volte si stampavano e scivolavano lentamente sul viso, come purpuree lacrime, e sulle vesti delle ragazze, raggianti e forse estasiate dal profumo e dall’aroma di quel prezioso liquido, nel mentre i piedi si infossavano tra i graspi e le bucce degli acini e pertanto era sempre più faticoso pigiare sui grappoli d’uva che arrivavo in ceste di vimini portati in groppa da“sumeri” (gli asini), ubidienti e taciturni, o a spalla da robusti ragazzi. A dare forza e vigore, per realizzare al meglio  queste antiche e tradizionali operazioni, erano le note calde della tarantella calabrese e l’eco sembrava arrivare dalle parti di “Petra Kappa”in quanto le note degli organetti e tamburelli sbattevano su quella mitica e curiosa roccia e rimbombavano a valle come il suono del tamburo  o della “crancascia” iNtoni, uno dei più bravi “tamburinari”. Ma il loro ritmo mi sembrava comunque incessante fino alla completa spremitura dei grappoli d’uva, fino all’ultimo acino, ed anch’esse, che sembravano volatizzarsi nel ritmo coinvolgente delle tarantelle, poi a recuperare le forze attorno ad un tavolo imbandito di tutte le prelibatezze casarecce ed un buon bicchiere di vino imbottigliato nell’annata precedente (non come Polifemo) ed estasiate dalle dolci vibrazioni dei canti tradizionali che accarezzavano l’aria tiepida che scendeva dalle rocche di San Pietro ed entravano nelle vene fino al cuore e nella testa: come il vino. 


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