Pardesca del Bianco. Tradizioni e magie in piazza
- Francesco Marrapodi
«Noi siamo vermi della terra. Creature di un processo di decomposizione evolutivo molto lento; pressappoco come accade quando muore un animale e dalla carcassa ne deriva la vita: i vermi. Successe così con noi milioni di anni fa, quando la terra si spense. Naturalmente, ciò è avvenuto per volere di quella forza divina che regola le leggi della natura: Dio». Era all’incirca con queste parole – chiamando cioè in causa la dottrina darwiniana e quella santagostiniana, o meglio, accontentando una senza dispiacerne l’altra – che Benito Gimondo ti apriva la sua lezione sulla comparsa dell’uomo sulla terra. Ma questa è solo una goccia nell’oceano culturale di un uomo tanto saggio, quanto laborioso.
Perché Benito (che fa parte di quel lontano sincretismo meridionale) è, senza alcuna ombra di dubbio, un eccellente oratore. Un essere che, oltre alla filosofia, ha saputo mantenere alto il nome del teatro, della comicità, della satira e via dicendo. Famosissime sono, infatti, le sue interpretazioni in questi campi. Stiamo parlando di un uomo dal nobile cuore, che s’è accontentato di vivere la vita senza particolari ambizioni. Come se la sua missione si limitasse a divertire la gente del suo paese, a istruirla, a trasmettergli quel particolare senso di fiducia nei confronti della vita.
Un uomo che ha seguito la sua vocazione sottraendo l’anima al tempo: perché è del tempo che s’è appropriato in quasi tutte le sue crociate culturali, per tramutarsi in ore e ore di svago, di divertimento, di umorismo, di cultura, di creatività. Ma il suo cavallo di battaglia resta, pur sempre, la farsa carnevalesca. Per chi di voi non lo sapesse, nella cultura locale, il carnevale, oltre ad essere un evento festivo, assume le sembianze di un personaggio buffo e presuntuoso che, dopo essersi reso responsabile di frode, viene condotto in tribunale (la piazza) per essere giudicato. Ebbene, era qui che entrava in scena la maestosa maestria di Benito Gimondo, che, con sommo controllo e abnegazione, dava la giusta pennellata al personaggio. Il carnevale da lui interpretato, andava oltre ogni immaginazione; traboccava di magia, vertendo a un’autenticità e a un umorismo a tal punto reali da darti la sensazione di star vivendo una scena di vita quotidiana, oltre che farti scoppiare dalle risate.
Il nostro piccolo eroe pardeschino (che avrebbe certamente meritato un ruolo di massimo rilievo nella scaletta degli attori comici italiani) ha contributo, inoltre, a quasi tutte le iniziative culturali di Pardesca. É stato, per esempio, l’ideatore della “Ninnarella” nel periodo natalizio; è stato il principale interprete di numerosi personaggi nelle farse estive; ha contribuito all’opera sacra, alla via crucis e a tanto altro. Insomma, quest’uomo, a cui tanto deve Pardesca, è stato un coreografo infallibile. Ma c’è una cosa che, a mio modo di vedere, sta alla base di tutte quante le sue qualità. La sua saggezza profonda. Una saggezza scaturita dal solo metodo di vivere una vita di società in comunione con l’inventiva e il sapere. Ciò, immancabilmente, ci fornisce le prove di quanto importante sia stato Benito per Pardesca; e lo è tuttora, anche se soffre degli acciacchi dell’anzianità.
Lo è non solo perché ha dedicato a questo piccolo borgo parte della sua vita, ma perché ha dato esso tutto l’amore di cui è stato capace.