Racconti popolari. Una vita da lupo mannaro
- Mimmo Catanzariti
Viviamo in una terra in cui molto del nostro passato, delle nostre tradizioni, rimane relegato nella sfera del mito. Una storia, la nostra, che quasi sempre attinge a un mondo arcaico complesso e stratificato.
Un mondo contadino, che manteneva un patrimonio di cultura fantastica, fatto di credenze, superstizioni, racconti, miti che a volte avevano origini lontanissime, legati al ciclo delle stagioni e all’osservazione dei fenomeni naturali.
Un mondo dove la magia e la stregoneria permeavano l’immaginario di gente semplice, che viveva queste manifestazioni con il timore, figlio dell’ignoranza e della paura.
Una antica leggenda, trasmessa soprattutto dai racconti degli anziani, e che ha interessato la letteratura e il cinema, era quella legata alla figura del lupo mannaro (lupu minàriu o lupu pampinu).
Un po’ in tutti i popoli, l’immagine che è stata data del lupo è stata quella di una bestia selvaggia, feroce ed aggressiva. E di questa triste fama ne approfittavano gli adulti per farci stare buoni e farci addormentare da piccoli. La licantropia (dal grecolykos, lupo, e ànthropos, uomo) era una sorta di male che portava, chi ne era affetto, a comportarsi come una bestia feroce e persino ad assumerne le sembianze.
La malattia, stando a quanto si raccontava, aveva uno sviluppo terribile e violento. I sensi del lupo mannaro si affinavano considerevolmente, divenendo simili a quelli di un cane. La sua forza aumentava a dismisura ed egli assumeva le fattezze del lupo, con i denti allungati, il viso deformato e il pelo ispido. Per finire gli crescevano, alle dita delle mani e dei piedi, dei formidabili artigli. Si diceva che ciò avveniva regolarmente nelle notti di plenilunio, dove la luna, che ha sempre esercitato una forte azione nella fervida fantasia del popolo e dei romanzieri, portava chi era affetto da questa malattia a comportarsi come una bestia. Quando l’individuo si trasformava in lupo mannaro perdeva completamente il controllo di sé e vagava per le campagne e per i boschi ululando come un lupo e, preso dall’istinto del predatore, aggrediva e sbranava ovini, bovini, suini, animali selvaggi e uomini, non facendo distinzione alcuna tra estranei e parenti. Per diventare lupo mannaro bastava essere stati morsi da un altro lupo mannaro.
Una persona che aveva la sfortuna di imbattersi in un lupo mannaro ed esserne morsa, sarebbe stata contagiata e si sarebbe trasformata in un licantropo, che a sua volta avrebbe sbranato e morso altri sventurati trasmettendo così la maledizione.Esistevano anche altri modi per diventare lupi mannari: ad esempio c’erano notti in cui le stelle e la luna si trovavano in una particolare posizione e se in queste notti si veniva morsi da un lupo si poteva diventare licantropi in modo autonomo.Si narrano numerose leggende sull’argomento, storie di persone aggredite che, in seguito a morsi, sono diventate licantropi e hanno persino sbranato i loro familiari.
Un episodio di questi venne pubblicato nel 1883 a Londra nella guida turistica Città del Sud Italia e di Sicilia.
*Il conte di Nicastro aveva sposato la bella figlia di un nobile calabrese. Il Conte possedeva una riserva di caccia e, per tenere lontani i bracconieri, la faceva controllare dai suoi guardiani. Uno di questi una mattina, tornando dal padrone, gli raccontò che un suo compagno durante la notte era stato aggredito da un lupo e, difendendosi col coltello, era riuscito a tagliare la zampa al feroce animale. Ma la sua sorpresa fu grande quando, nel togliere dal tascapane la zampa amputata all’animale, comparve una mano di donna con un anello ad un dito, che il Conte riconobbe essere della sua sposa.Chiamata, la donna aveva un braccio fasciato e tolte le bende apparve un moncherino sanguinante. Per punizione la nobile donna prima fu rinchiusa nel castello e poi venne messa a morte.
A San Martino di Taurianova si consigliava di pungere con una canna appuntita il licantropo che, alla prima perdita di sangue, ritornava alla dimensione umana. Il segno di croce incuteva paura al licantropo, che non poteva attraversare perciò un quadrivio, per questo si usava tracciare una croce sotto la pianta dei piedi dei bambini piccoli affinché fossero protetti contro la bestia. In altri paesi della Piana di Gioia Tauro, si raccontava che il lupo mannaro usciva di casa e nascondeva i vestiti in un posto sicuro per poi scorrazzare nelle campagne alla periferia dei paesi.
Prima dell’alba, riprendeva i vestiti e raspava alla porta di casa sua, ma soltanto al terzo tentativo i suoi familiari potevano aprirgli, dopo essersi accertati della trasformazione del proprio congiunto da lupo a uomo. O nelle notti fatidiche, si faceva chiudere dalla moglie in una robusta gabbia di ferro e, in caso di pericolo, la moglie doveva farsi tre volte il segno della croce e con una canna appuntita doveva pungere a sangue la “bestia pelosa”, per placarla e farla tornare alla dimensione diurna.
Nel passato molte persone sospettate di essere licantropi sono state giustiziate per crimini commessi con ferocia animalesca, ma che fossero realmente licantropi non è mai stato provato. Oggi sappiamo che purtroppo gli antichi si lasciavano ingannare dal pregiudizio e dalla superstizione, e che molte delle persone che venivano messe a morte, accusate di essere dei lupi mannari, erano in realtà dei malati colpiti da infermità insolite, persone stravaganti, o psicopatici parzialmente incapaci di intendere e volere.
Per fortuna, col diffondersi dei mezzi di comunicazione, il lupo mannaro ha trovato finalmente il suo ruolo solamente nei romanzi e nei film di fantasy e non turba più il sonno delle creature semplici e superstiziose.