San Biagio e l’abbaculu degli innamorati
- Mirko Tassone
Al ricco e variegato calendario liturgico serrese non sfugge febbraio. Il terzo giorno del secondo mese dell’anno, il mese del carnevale e della quaresima, nella cittadina della Certosa porta con sé le celebrazioni in onore di san Biagio. Una festa singolare quella in onore del vescovo di Sebaste (Armenia), così come singolare era il fatto che, fino a qualche anno addietro, il santo fosse il patrono del paese di san Bruno. Una singolarità sulla cui origine non v’è certezza. Mentre è acclarato il legame, di origine bizantina, tra la Calabria e ed il santo protettore della gola, assai incerto è, invece, quello con la cittadina delle Serre dove, il culto, potrebbe essere arrivato in maniera casuale e rocambolesca. Secondo, il resoconto, fatto per la “Platea”, nella prima metà dell’Ottocento, da don Domenico Pisani, «venendo qui al di loro travaglio degli uomini, e passando per le vie della Lacina, ove vi era una chiesetta diruta dedicata a S. Blasi, vi tolsero il quadro ivi inculto, che portarono nella di loro chiesetta, ove non sappiamo se dalla pubblica devozione, o d’altro fu dichiarato Protettore e Patrono». Il culto, arrivato lungo le tortuose strade della fede, deve essersi diffuso con una certa rapidità al punto tale che la chiesa Matrice è vocata, proprio, a san Biagio. Ciò che, invece, non nasconde misteri e la lunga tradizione, tutta serrese, sviluppatasi attorno alla festa del Santo. Alle manifestazioni liturgiche, caratterizzate da una processione molto partecipata che per tre volte faceva il periplo della chiesa Matrice, si associavano e si associa, tutt’ora, una gustosa tradizione dolciaria. Ieri, come oggi, infatti, uomini e donne, armati di cesti, si recano in chiesa per la benedizione dei biscotti dall’inconfondibile forma del pastorale, il tipico bastone usato dai vescovi durante le funzioni. Gli “abbaculi”, il nome con cui i serresi chiamano il tipico dolce, un tempo costituivano una sorta di suggello amoroso. La tradizione, infatti, imponeva che nel giorno dedicato a san Biagio, il fidanzato donasse alla fidanzata un “abbaculu” riccamente decorato, con mandorle e confetti. Una volta benedetto, il biscotto veniva spezzato in due, la parte diritta rimaneva alla rappresentante del gentil sesso, mentre quella ricurva veniva restituita al futuro sposo. Una sorta di san Valentino in salsa serrese, caratterizzato dal riferimento, neppure troppo velato, alla sessualità ed alla fecondità della coppia. Passati gli anni in cui la statua del Santo, durante la terza domenica d’agosto, veniva condotto al calvario, i serresi, nella giornata del tre febbraio non si sottraggono alla benedizione della gola attraverso l’imposizione di due candele incrociate. Le due candele, rimandano al rito della Candelora, che, secondo Cattabiani, avrebbe mutuato dalla festa in onore della dea Februa, ovvero Giunone, l’abitudine dei pagani di percorrere le strade impugnando fiaccole accese, in segno di purificazione. Tutto cristiano, invece, il culto di San Biagio protettore della gola. Secondo la tradizione, infatti, mentre veniva condotto a Sebaste per essere processato e poi condannato a morte, durante una persecuzione del IV secolo, san Biagio avrebbe salvato da morte certa un bambino che stava soffocando a causa di una lisca che gli si era conficcata in gola. Un episodio dal quale sarebbe nata la tradizione che, ancora oggi, vede il sacerdote impartire la benedizione per mezzo delle due candele incrociate.