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Calabria Greca. Scì Melu e i cowboy aspromontani

  •   Salvino Nucera
Calabria Greca. Scì Melu e i cowboy aspromontani

Le falde aspromontane non hanno mai offerto gli abbondanti foraggi di cui sono ricche le vallate alpine, per poter praticare un redditizio e diffuso allevamento bovino.Tuttavia non sono mai mancate sparute e minuscole mandrie di animali bovini. Ne è stata testimone, in anni non lontani, la produzione di ottimi formaggi quali i caciocavalli, le trecce ed altro di ottima fattura e qualità. Non mancavano in quegli anni le occasioni di dover difendere gli armenti, presi di mira dai ladruncoli nel momento in cui erano lasciati incustoditi.

Un aneddoto raccontatomi da Carmelo Trapani, detto Clienti, narra di un tentativo di furto di bovini di proprietà di più famiglie imparentate tra di loro, di cui lui faceva parte. Per una serie di imprevisti motivi, egli si era trovato, una notte da solo, a dover custodire in montagna la mandria di mucche della collettività, visto che gli altri vaccari erano dovuti rientrare in paese, per delle situazioni familiari. Nel cuore della notte venne destato dal dormiveglia, da dei rumori sospetti ed insoliti, accompagnati dal latrare dei cani. Uscì dalla capanna per rendersi conto di cosa fosse successo, e al chiarore della luna notò in lontananza delle ombre.

Delle sagome umane che si avvicinavano furtivmente. La situazione di un tentativo di furto era chiara e lampante, ma istintivamente la sua mente partorì un’idea che poteva forse impedire l’evento che stava per verificarsi. Urlò con tutto il fiato che aveva in gola: «Accorrete tutti! Sette di qua, sette di là e sette al passo di Trifillà!». Al sentire queste frasi, questa specie di tiritera, i ladri disorientati si videro scoperti e scapparono desistendo dal tentativo della ruberia della mandria di bovini.

Grande fu la meraviglia di Carmelo Trapani per aver messo in fuga in un modo tanto rocambolesco i furfanti. Nei pressi di Montenardello, tra Furnelle e Materazzelli, vissero intere generazioni di famiglie dedite all’allevamento delle vacche. Una di queste, forse la più importante, fu la famiglia dei Tripodi, i vaccari a cui erano affidate le mandrie bovine del cavalier Priolo di Santo Stefano d’Aspromonte. A partire da aprile o maggio fino a ottobre o anche di più, a seconda delle annate in cui la clemenza del tempo lo permetteva, vivevano nei pascoli appresso agli animali, lasciandoli ogni 15 giorni solo per rifornirsi di indumenti puliti e di alimenti di vario genere.

Ci mettevano 6 o 7 ore per scendere dall’alpeggio e altrettante per ritornarvi. E non era raro che ci si fermasse in paese per un paio di giorni prima di riprendere la via per l’Aspromonte. Solo nei mesi invernali più freddi, le mandrie venivano condotte nelle stalle nelle zone più basse in vicinanza di Santo Stefano. Tutto questo durò fino a quando i discendenti più giovani non presero la via dell’emigrazione verso l’Italia del nord, o addirittura verso la Svizzera e la Germania.

La produzione dei formaggi e dei derivati dal latte di mucca, che fino ad allora era fiorente ed in via di espansione, venne improvvisamente a mancare in quella come in altre zone della montagna a cavallo tra i mari Jonio e Tirreno. I paesi e le comunità, che vivevano ancora con i ritmi dettati dalla tradizione e dalla natura, ne risultarono ulteriormente impoveriti. Rimangono solo i racconti dei vecchi vaccari, che ricordano le quotidiane lotte intraprese, oltre che con il tempo spesso avverso, anche con i lupi. Questi furono una minaccia costante per le mandrie, specie nel momento in cui nascevano i vitellini.


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