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Tradizioni. Pasta e sughi fatti in casa

  •   Franco Blefari
Tradizioni. Pasta e sughi fatti in casa

Tra i piatti tipici della nostra regione, ‘a past’‘e casa, la pasta fatta in casa coi fusilli - cioè arrotolata intorno allo stelo di ampelodesmo, più comunemente conosciuto come candilicia, con cui i bambini di una volta andavano per le campagne ad incappiare lucertole (m’‘i nchjàccanu) - merita, senza ombra di dubbio, i massimi riconoscimenti nella poco fantasiosa, perché ripetitiva, cucina calabrese. L’interesse per un piatto così altamente competitivo conferma la validità di una tradizione antichissima tramandataci dai nostri antenati e giunto fino a noi attraverso intere generazioni, che se da una parte ne hanno lievemente modificato la lavorazione, dall’altra parte hanno aggiunto nuovi ingredienti, conferendole varietà di gusto e di prelibatezza.

La lavorazione

La lavorazione della pasta fatta in casa richiede alla buona massaia mani agili e veloci, che dovranno ridurre la farina, già impastata con acqua, sale e uova nelle dovute proporzioni, in pezzettini di sezione circolare della lunghezza di un dito o poco più. Questi verranno poi attorcigliati con lo stelo, anche se una volta si utilizzava un ferretto circolare per la confezioni di maglie, ma così facendo si riduceva di molto il diametro del buco dentro cui deve filtrare il sugo per renderla più appetitosa. La pasta, così lavorata, viene fatta roteare sotto il palmo della mano sopra una superficie ben levigata, che di solito è quasi sempre il tavolo da cucina, dove si lascia asciugare per circa dieci minuti. Viene poi immersa nell’acqua bollente e tirarata fuori dopo qualche minuto di cottura.

Gli ingredienti

É buona abitudine impiegare farina di grano duro, possibilmente mescolando insieme farina di ranu quatregliu e ranu ‘i majorca, che si integrano molto bene per le loro caratteristiche organolettiche. Ma il vero segreto della past’ ‘e casa è il sugo, che deve essere come Dio comanda. La pasta più apprezzata è quella condita col sugo di capra. La patria di questo piatto è sempre stata Africo, San Luca e altri paesi viciniori, dove ci sono veri e propri maestri dell’arte culinaria contadina a cui si sono sempre ispirati. Ma anche con carne grassa e magra di maiale (con l’osso) questo piatto ottiene indici di gradimento davvero elevati, specie se ad accompagnarla è una buona bottiglia di vino forte e pastoso. Senza dimenticare, però, che anche il sugo di coniglio, cucinato senza levare la pelle, come si usava una volta, sa deliziare il palato di noi altri calabresi abituati a piatti di genesi prevalentemente contadina. Potrebbe anche bastare se non ci fosse il formaggio di capra o pecora d’alta montagna, per fare di un piatto simile una leggenda vivente. E come tutte le leggende, per sembrare davvero tali, questo piatto chiede di essere assaggiato anche con una soffice “nevicata” di casàrica, di ricotta fresca salata grattugiata, cioè stricata c’’a grattalòra (grattugiata). E buon appetito!


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