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Antonella Italiano

Antonella Italiano

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Casignana. Tutti i Premi del Palio San Rocco e i Rioni vincitori

Con 112/120 vincono a pari merito il Primo Palio San Rocco: Rione  FARRUBARU e Rione CHIESA

(Il risultato finale è scaturito da una votazione di tre differenti giurati, che hanno valutato quattro parametri, premiati poi anche singolarmente: SENSO ESTETICO, COLORE, COPERTE PIÚ BELLE e FANTASIA. I voti sono stati sommati, decretando i vincitori e la classifica finale, che non pubblichiamo ma che resta agli atti dell’organizzatore, con le schede controfirmate da ogni giurato.

I premi “liberi” sono stati assegnati senza votazione, ma sulla base di un confronto tra i giurati e su dati ritenuti oggettivi.

Nel pubblicare le immagini relative alle scelte e le rispettive motivazioni, e correlando a questo articolo anche gli articoli relativi alle mostre di ogni singolo Rione, ci auguriamo di aver dato ai nostri lettori tutti gli strumenti per valutare anche il nostro lavoro)

Di seguito tutti i premi assegnati ai 6 Rioni, divisi in tre settori: COPERTE, DECORAZIONI e PREMI SPECIALI. 

SETTORE COPERTE

PREMIO MIGLIORE COPERTA IN SETA

Rione CHIESA

Per aver esposto un capo degno di un palcoscenico internazionale, che potrebbe rappresentare magistralmente l’arte della tessitura e della filatura calabrese in giro per il mondo. Di epoca rinascimentale e di valore inestimabile, è stato in assoluto il particolare più bello del Palio di Casignana.

L’altro pregiatissimo capo del Rione Giallo: 

PREMIO MIGLIORE COPERTA IN LANA O GINESTRA

Rione  FARRUBARU

Una coperta di fattura pregiata, raffinata nella scelta dei motivi, degli abbinamenti e dei colori. Curata in ogni dettaglio e tessuta dalle mani più esperte del paese, vuole essere questo premio anche l’occasione per gratificare la persona che l’ha realizzata e la sua maestranza, condivisa negli anni con le donne di Casignana, e alla base dell’ampio patrimonio tessile che caratterizza la cittadina.

PREMIO PER IL MAGGIOR NUMERO DI COPERTE ESPOSTE

Rione  FARRUBARU

Per aver interpretato al meglio lo spirito del Palio di San Rocco addobbando – in omaggio al Santo – ogni muro e ogni balcone del Rione, e per aver condiviso con estro e generosità un patrimonio tessile custodito da generazioni. Scatti numerosi e senza precedenti anche sulle pagine online dei giornali, che fissano nel pubblico esterno la grandezza di Casignana per arte e tradizione.

PREMIO PER LE COPERTE PIÚ BELLE

Rione  FARRUBARU

Rione CHIESA

Punteggio 30/30

È stato questo un parametro oggetto di votazione per la giuria, nella valutazione del vincitore assoluto del Palio San Rocco.

Si premia il valore complessivo dei tessuti esposti, la loro fattura, la raffinatezza e l’originalità; quindi le scelte degli abitanti di questo Rione che hanno saputo selezionare, in occasione del Palio, i pezzi più pregiati custoditi in cassapanca.

PREMIO PER LE FANTASIA NELL’ESPOSIZIONE DELLE COPERTE

Rione PIAZZA

Per aver saputo valorizzare l’esposizione delle coperte abbinando ad esse l’uso delle donne di un tempo, e per aver ricreato gli angoli dei focolari secondo l’antica tradizione casignanese.

E, meritevole di menzione, la camera da letto del Rione ANNUNZIATA:

SETTORE DECORAZIONI

PREMIO PER IL MIGLIOR RELIQUARIO

Rione PIAZZA

Per aver lavorato assiduamente alla costruzione di un posto originale per accogliere la reliquia di San Rocco, e per aver messo al centro di ogni altra decorazione quello che, sin da principio, avrebbe dovuto essere il cuore e il motivo trainante di ogni Rione. Hanno saputo creare attorno alla reliquia il giusto contesto di sacralità e di eleganza, con la rifinitura a mano di ogni dettaglio e riservando al Santo le tessiture più preziose.

PREMIO PER LA DECORAZIONE PIÚ ORIGINALE

Rione SCUOLE

Questo Rione ha avuto il coraggio di osare, inventandosi delle decorazioni in seguito riprese da altri. Ha saputo creare degli spazi a tema, colorandoli secondo le regole del Palio, e lavorando con meticolosità su ogni dettaglio. Dai particolari con cui sono stati addobbati alberi e pianti, agli oggetti della tradizione messi in mostra lungo le vie, alla cura riservata ai lavoretti manuali in carta semplice. A questi ultimi, e quindi al RIONE SCUOLE, il riconoscimento di decorazione più originale.  

PREMIO PER IL SENSO ESTETICO

Rione CHIESA

Punteggio 30/30

È stato questo un parametro oggetto di votazione per la giuria, nella valutazione del vincitore assoluto del Palio San Rocco.

Questo Rione, sposando a pieno gli intenti e le regole del Palio, ha avuto la capacità di rendere continuo, armonioso, omogeneo e gradevole agli occhi dei giudici lo stile decorativo adottato. Si premiano così le scelte semplici ma originali, ordinate, d’impatto, e in perfetta simbiosi con le architetture del Rione.

PREMIO PER LA FANTASIA

Rione  FARRUBARU

Punteggio 28/30

È stato questo un parametro oggetto di votazione per la giuria, nella valutazione del vincitore assoluto del Palio San Rocco.

Questo Rione ha saputo ridisegnare gli spazi anonimi, creando delle situazioni nuove ma verosimili, e sforzandosi di sopperire alla geometria poco generosa delle case e delle strade. Ogni difficoltà è stata superata in modo geniale: ogni angolo è stato debitamente curato ed ogni famiglia è stata coinvolta.

La creatività, la gioia e l’appartenenza sono state il motivo ricorrente del lavoro questo Rione.

PREMIO PER IL COLORE

Rione  FARRUBARU

Punteggio 30/30

È stato questo un parametro oggetto di votazione per la giuria, nella valutazione del vincitore assoluto del Palio San Rocco. È stato valutato il colpo d’occhio offerto ai Giudici al passaggio per le strade, quindi la capacità di rendere omogeneo e d’impatto l’effetto colore, e di farlo usando pochi elementi caratterizzanti.

Questo Premio riconosce al Rione la constatata capacità di coordinare agli addobbi di strade e balconi, e così come richiesto dal regolamento, anche le tinte dei tessuti in mostra.  

PREMI SPECIALI

PREMIO PER LA MIGLIORE ANIMAZIONE

Rione CHIESA

Per essere riusciti a essere originali, generosi e accoglienti nell’organizzazione della festa rionale; e in perfetta sintonia con il colore ad esso assegnato. 

PREMIO ACCOGLIENZA

Rione Palazzi

Si premia questo Rione per essere riuscito, nonostante la distanza dal nucleo abitativo di Casignana, a integrarsi con lo spirito del Palio e a condividere la gioia della festa. Aprendo le porte delle proprie case ai casignanesi e ai visitatori esterni con generosità, e ribadendo l’atavica appartenenza di questi popoli all’antica tradizione greca, che ha fatto dell’accoglienza e dell’ospitalità un punto fermo della sua cultura.

PREMIO GIOVANI

Rione ANNUNZIATA

Per aver saputo motivare il maggior numero di giovani nell’allestimento del proprio Rione, estendendo la partecipazione sia al posizionamento sia all’ideazione delle decorazioni.

Si Premia il Rione che ha fatto, del Palio San Rocco, un valido stimolo per avvicinare il cuore dei ragazzi alla tradizione religiosa, e un motivo forte per restare in paese, a coltivare il senso di appartenenza.

PREMIO GIOCHI TRADIZIONALI

Rione ANNUNZIATA

Per avere affrontato tutte le prove ludiche previste dal regolamento, superando nel punteggio i Rioni avversari.

PREMIO STAMPA

Rione CHIESA

Ci siamo chiesti, nell’assegnare questo Premio riservato alla testata, quale dei Rioni così decorati avrebbe potuto rappresentare al meglio, e sui giornali, l’immagine di Casignana e, con essa, le tracce della storia, della tradizione e del romanticismo che sta alla base del Palio San Rocco.

Abbiamo preferito le coperte esposte sui balconi (così come si faceva un tempo in onore del passaggio dei Santi) piuttosto che altri tipi di presentazioni, bellissime ma più moderne.

Abbiamo preferito il Rione che ha fatto una precisa selezione dei capi e dei motivi di decorazione, quindi l’efficacia di poche scelte vincenti, e ha saputo contestualizzare il tutto con un allestimento adatto ad ambienti esterni (che riteniamo vadano valorizzati con pochi elementi forti e costanti, piuttosto che con tante piccole rappresentazioni, pregevoli ma poco in relazione tra di esse). Le mostre degli oggetti della tradizione, considerando le difficoltà che avrebbe nel visionarle un flusso di visitatori esterni, le immaginiamo allestite in spazi comuni ampi, ben organizzati e ben coordinati. 

Quindi per la continuità, l’omogeneità e l’ordine che vi abbiamo riscontrato, e perché riteniamo che un Rione così allestito dia un’idea forte dello spirito del Palio, anche all’esterno di Casignana, il nostro Premio Stampa è andato al Rione Chiesa. 

Il dialetto calabrese e le contaminazioni straniere

Avete mai pensato di intimidire qualcuno? L’espressione minacciosa potrebbe rivelarsi più chic se ai suoni del dialetto nostrano accostassimo il termine francese buffettuni ojiffula. Non sarebbe troppo sbagliato, considerando che sempre francese è lo sgarro di chi vi ha offeso.

Come è accaduto a me, l’altro giorno, quando ho avuto un increscioso contrattempo. Mentre col fazzoletto asciugavo le posate ho visto un topo vicino al braciere. E quel buontempone del macellaio, invece di aiutarmi, stava lì a mangiare uva e a scherzare col sarto. Che rabbia!

Potrei dirvi tutto questo in francese, se voi me lo chiedeste. Me l’avete chiesto? Va bene allora: travagghiava cu muccaturi pe stuiari na broccia quandu vitti nu surici vicinu o braceri. E gliu sciampagniuni du bucceri era glià chi mangiava racina e catugghiava ucustureri. Chi mangiasuma! ops… Chi raggia!

Ma quando arrivo al limite della sopportazione baratto il francese per lo spagnolo di Castiglia. Ed è il caso di stare lontani da me, perché mi armo di scupetta e, ai primiscamogghi (pretesti), miro alla capezza. O almeno dico. Poi mi accorgo che, in mano, ho solo na cucchiàra, così mi rimetto alla pignata e continuo a cucinare. E resta un semplice sfogo.

E ‘nzertati cos’è? Spagnolo… catalano!

Nelle giornate meno movimentate, invece, siedo volentieri sul gradino di casa, mangio un panino con semi di sesamo, un po’ di carrubba e dolcissima uva dagli acini grossi. Allontano così i pensieri tristi, e non peno più per le cose di poco conto. Relax arabo, in realtà. Vi dico anche questa, ed è l’ultima, giuro. U jornu mi ssettu supra u bizzolu e mangiu pani ca giuggiulèda, poi carùbba e zibbibbu duci. E rassu i brutti penseri, senza i mi lattariu pè c…! (la censura è d’obbligo in questo caso).

Ed ora un “classico”: il greco.

Animali: carcarazza (gazza), bucalaci (lumaca), zzimbaru (caprone). Utensili: bucali(boccale), bùmbula (brocca piccola per acqua), tiganu (tegame). E gli alimenti (sennò chi cucinamu?): timogna (cumulo di grano), scordo (aglio), petrusìnu (prezzemolo),cuddhura (pane di forma circolare). Concludiamo con la frutta: pricopa (albicocca) eciuràsa (ciliegia). E attenti a non ingoiare i curcuci (noccioli). Fanno male!

Fanno male proprio come la nostra Calabria, adorabile ma sofferente. Una terra che, pur essendo stata per secoli la naca di tanti popoli, ora sembra infetta da unachjastima, e stenta a risollevarsi. E mi siddiu quando ci definiscono incolti. Peggio: rozzi. O forse ci suonerebbe più gentile essere “grecamente” chiamati paddechi. La forma cambia, la sostanza è peggiore.

Gravissimo è, infatti, quando siamo noi i primi a vergognarci dei nostri suoni, senza considerare che questi sono, al contrario, il frutto di cultura e di storia. Tanta storia. Se siamo paddechi noi, allora lo sono anche i francesi, i greci, gli spagnoli catalani e di Castiglia, gli arabi. Figuriamoci i latini. Ma “a mala nominata a leva u lupu”. E stavolta ve l’ho detto tutto in calabrese originale. 

Lollò Cartisano. La breve memoria di Bovalino


tomba-lollò
Oggi si è marciato verso Pietra Kappa, lungo “i sentieri della Memoria”, e c’è stato un gran rumore per questo. La memoria-con-la-emme-grande torreggia su manifesti, volantini e post di facebook. Un classico. Perché se la memoria-con-la-emme-piccola non mi inganna di fiaccole e camminate se ne sono fatte parecchie, dal 1993 in poi furono davvero tante.

Avevo tredici anni all’epoca e il mio paese era puntualmente massacrato da violenze e abusi, sparatorie, bombe, incendi. Ma, tra tutti, il crimine più grave furono i sequestri di persona: decine di bovalinesi venivano torturati e strappati alle famiglie. I più scaltri se la cavarono con poco, i più deboli, gli anziani, le donne, tornarono a casa annientati fisicamente e psicologicamente. Qualcuno non tornò più. Qualcuno morì poco dopo.

Oggi, dopo vent’anni, ci si chiede perché sanluchesi e bovalinesi dividano le stesse strade, il lungomare, le piazze, senza mai integrarsi totalmente. Perché si accettino solo di rado. Perché i giovani di Bovalino si concentrino in pochi bar, e in ancor meno pizzerie, lasciando pressoché deserte le attività foresterie. Chiederselo è una grande ipocrisia.

Mettendo da parte il buonismo, che sempre tutto aggiusta e appiana, la risposta è lampante: se la-memoria-con-la-emme-piccola non mi inganna un’altra volta nei sequestri di persona, negli omicidi, nelle intimidazioni a danno dei bovalinesi furono quasi sempre coinvolti dei sanluchesi. Un po’ come accadde a Bianco con gli africesi. Mentre le cittadine di Locri, Siderno e Gioiosa (per fare qualche esempio) ci pensarono da sole a farsi fuori: scegliendo di essere fagocitate da lotte intestine di famiglie autoctone.

Con il buonismo, si sa, arriva il luogo comune per eccellenza: “non facciamo di tutta l’erba un fascio”. Non sia mai! Ci sono sanluchesi buoni e cattivi, africesi buoni e cattivi, bianchesi buoni e cattivi, bovalinesi buoni e cattivi.  Mi concedo una sola osservazione su quest’ultima categoria: è la mia stessa razza quella che, in simili giornate della “memoria”, disprezzo di più.

Il 3 agosto 2003, dopo dieci anni di appelli, fiaccolate, proteste e programmi tv, nella Chiesa di Bovalino accanto ai miseri resti di Cartisano ricordo poche persone. O meglio: non più di quelle di una messa domenicale. O meglio ancora: non tutte quelle che avrebbero dovuto presenziare in un’occasione del genere.

Non fu lutto cittadino, neanche un’ora. Non ci furono proteste, non quel giorno. Non ci furono cortei sulla piazza, gente indignata, dirette di tv importanti, appelli arrabbiati del Sindaco.

Bovalino abbozzava e subiva e, per nulla incazzata, seppelliva il suo ennesimo figlio.

E non è questione di memoria, ma un dato di fatto, che sulla piazza dirimpetto alla Chiesa dove si celebravano i funerali di Lollò, si svolgevano nel frattempo le prove di un saggio, o di una sfilata, o di qualche sagra di paese. Di cosa fossero, onestamente, l’ho voluto cancellare. Ricordo musica, pizze al taglio, mamme chiacchierone, palloni per bambini. E gli applausi di festa e lutto quasi quasi si confusero.

Mi stupisce, oggi, che i miei concittadini non ricordino. Che facciano i leoni e ringhino da dentro una gabbia chiusa.

Perché senza memoria-con-la-emme-piccola la memoria-con-la-emme-grande non è niente più che un bluff. 

11 Novembre. L'estate di San Martino

San Giovese e Negramaro per gli impazienti di inizio settembre. Insolia, Nero D’Avola, Merlot per i ritardatari. Vigneti a spalliera, ad alberello e a tettoia. Un paio di giorni di sondaggi per controllare il grado di zuccherina, nella speranza che non piova mai troppo. E poi la gara coi torchi per misurare la resa: normale intorno al 70, superba vicino all’80. La vendemmia è da sempre una festa! E chi ripensa nostalgicamente ai grandi mastelli di legno, quando l’uva si spremeva coi piedi, non ha vissuto l’emozione dei nostri giorni. Roba da 007! Perché, affiancate alle normali attività in cui i venditori si premurano di raccogliere uve rigorosamente ‘originali’, ci stanno i taroccamenti. Non fidatevi dei venditori ambulanti! E che dire del bisolfito? Sotto accusa chi ne mette nel vino, comprensibile chi lo vuole nel mosto, intrepidi coloro che osano rischiare. Niente sostanze chimiche, solo dell’ottima uva per evitare fastidiosi capogiri. Punti di vista. Diatriba anche su mastelli e torchi perché, mentre i giovani preferiscono le tradizionali botti in rovere, i più anziani scelgono l’innovazione: meglio la resina. Quaranta giorni di fuoco. Tutti a testa in su per controllare il grado di maturazione dei preziosi grappoli. Ma attenti alla sorpresa: il furto dell’uva! Usuale a fine agosto. Per coloro che, al contrario dei ‘benefattori’, riescono a macinare qualche grappolo, resta solo una ‘questione di gusto’ il tempo di macerazione. Qualche uva se la passa peggio. Seviziata e smembrata nel paese reggino Bianco, prima della macinazione, viene stesa su ampi tavoli soleggiati per essiccare. Da qui nasce uno dei vini italiani più pregiati: il Greco di Biano Doc. Di matrice greca, sembra sia stato importato nell’VIII secolo a.C. Tipico è il colore giallo-oro, e il profumo intenso che ricorda i fiori d’arancio. E, dopo tanta fatica, eccolo! Se ne stà nei mastelli deridendo ingrato i suoi stessi artefici. Rilassato e immobile. Lui lo sa che loro aspettano le bollicine. Un avvicendarsi di visi turbati che si affacciano speranzosi dai bordi. Che sia intenso come l’oro, scuro e sanguigno, rosato o frizzante, è comunque tutto in mano sua, perché lui è… il mosto! Ma occorre pazienza, almeno fino a San Martino. E se ci stanno donne di mezzo preparate per loro dieci litri di mosto non fermentato: ne faranno vino cotto. E non chiedetevi dove stavano cugini e amici quando voi caricavate e scaricavate cassette, tanto… torneranno a San Martino!

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