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Antonella Italiano

Antonella Italiano

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Festa d’autunno ad Africo, il paese dei bambini

  • Published in Eventi

Più di ottanta bambini hanno partecipato all’evento che, dal primo pomeriggio di oggi, ha acceso il cuore di di Africo. Sulla piazza adiacente al municipio, opportunamente recintata, risate e musica hanno reso omaggio all’autunno, rompendo la monotonia di tanti reportage che, anche in questi giorni, hanno disseminato tristezza e luoghi comuni. Africo è vita, è giovinezza. Bambini che ballano sugli incipit di Anthony voice; che stanno in fila dalla truccabimbi a richiedere farfalle e gattini per le femminucce, ragnatele per i maschietti; che sperano in un palloncino a forma di cane, o di cuore, o di spada; che aspettano bibite e popcorn.

Il tifo per i giochi di gruppo, magistralmente gestiti dagli animatori e dagli adolescenti di Africo, entra nelle vie circostanti, tra le case popolari di via Matteotti, rimbomba nelle stanze del Comune più volte commissariato. Gialli, gialli, blu, blu. Così si sostengono le squadre multicolori. In palio pacchi di caramelle, contese e conquistate con vero spirito agonistico.

Africo, in questa giornata d’autunno, è turbata appena da qualche nuvola, ma il sole è caldo e l’accompagna fino al tramonto, neanche il tempo osa disturbare la gioia dei bambini.

Se ne vanno che è già buio, quando le luci si spengono e gli animatori raccolgono gli attrezzi. Qualche bimbo è stanco e si lascia guidare dai genitori, qualcuno piange non rassegnato alla fine della festa, molti restano in piazza a giocare attendendo zeppole e castagne, che le donne preparano per la sagra della sera.

È stata la giovanissima associazione “Insieme per Africo” ad aver promosso l’evento, ad averlo immaginato e costruito senza alcun aiuto pubblico che non sia stato il volontariato di alcuni cittadini, e il supporto della Pro Loco e dell’associazione Santu Leu.

Giovani africesi che conoscono bene il territorio, che nascono rivolgendo ai bambini le loro attenzioni e che si sono recati nelle scuole per regalare inviti personalizzati.

Sarà a dicembre il prossimo appuntamento con “Insieme per Africo”. Maghi, trampolieri, balli o altri giochi? Chi può dirlo. Africo, paese generoso e colorato, paesi dei bambini, vi aspetta.

"Accoglienza" profughi? Benvenuti al circo!

Com’è possibile dirsi contro o a favore? Quando ci si reca in un centro di accoglienza l’umanità non lascia spazio al giudizio personale. Basta solo entrarci per restare inorriditi dalle sofferenze che, nella migliore delle ipotesi, sono solo attenuate dal lavoro di associazioni e volontari.

Il libero arbitrio non ha colore di pelle, e poco importano le attitudini degli “ospitati”, su cui spetta al Governo, e in breve tempo dallo sbarco, fare chiarezza. Perché le attitudini, se così possono definirsi la tendenza alla prostituzione o allo spaccio, sono proprie degli uomini, e non vanno di pari passo con i paesi di provenienza. Forse i bianchi si reputano indenni, per il solo fatto di essere italiani e di vivere su suolo italiano, dal commettere malefatte? Oggi se ne leggono tante di sentenze buttate giù sui social; pareri di giudici improvvisati, che a furia di fissare gli smartphone non ricordano che faccia abbiano gli uomini. Neanche quelli bianchi.

Quando a Bianco i profughi divisero con noi gli spazi a loro “riservati”, trascinandoci a forza per tutto il centro Com, compreso nei bagni e nelle camerate, ci misero davanti le loro aspettative, le loro speranze; così poco ambiziose in realtà che ci sentimmo disarmati. L’uomo nero non ci stava mangiando. Non ancora.

Con pazienza in francese e inglese, cercarono di spiegarci come e cosa stessero vivendo, di chi si fidassero e di chi no, facendo il verso agli amministratori, e ribadirono che pur avendo tutti lo stesso colore provenivano da realtà troppo diverse per poter vivere, così a lungo, ammassati come bestie di un circo. E, per combattere la noia, in qualche modo si schernivano di noi, delle nostre idee, del nostro pensare gli africani con la gonnella di paglia e l’osso al naso. Dinnanzi a tanta essenza, che non davamo per nulla scontata, ciò che risultava chiara era l’impotenza. La loro e la nostra.

Dei 35 euro alla ribalta su tutti i banchi di discussione, guardati con disprezzo dai puristi, con ipocrisia dai buonisti, con rabbia dai nazionalisti, i profughi ricavano una vita da sfollati. No, non è benessere. Perché dunque continuano ad essere smistati nelle nostre cittadine? Il giro è più grande della possibilità di comprendere, ma pur senza conoscere gli attori (quelli veri), gli obiettivi (quelli veri), il messaggio resta chiaro, matematico. E se è complesso trarre delle conclusioni, valutare gli effetti è altresì molto semplice. Intere comunità costrette a vivere, volenti o nolenti, a diretto contatto con popoli stranieri.

Una multirazzialità imposta a suon di sbarchi e di opere di solidarietà; mentre i calabresi sono costretti a scappare già in tenera età, e coloro che restano crescono con l’emigrazione nel sangue, sognando l’El Dorado lontana. Qui non manca solo il lavoro, quello siamo così caparbi che potremmo anche inventarcelo, qui manca la cultura, la parità, la libertà. E si fa largo, nuovamente, il bigottismo, che uccide i popoli, e il clientelismo, che ingrassa una nuova figura di podestà: il sindaco. Podestà molto “accoglienti” in questi ultimi mesi, che “accolgono” le richieste degli amici ma non pensano né ai cittadini né ai disgraziati rinchiusi nelle gabbie del circo, nell’attesa di un documento per iniziare a vivere, ma la cui identità – dopo lo sbarco - è destinata a restare incognita per mesi prima che la prefettura faccia chiarezza.

Bestie senza nome, recintate ma “libere”, che vorrebbero fuggire - quelli buoni - dopo la prima settimana, e che fuggono – quelli cattivi – perché tanto la strada la conoscono già. Uno spasso per gli anziani vedovi (e non solo per loro) quelle carni nere come l’ebano che hanno poco più vent’anni (ma non tutte), sono uomini bianchi ingordi e insaziabili che scambiano il dolore con la goduria e il bisogno con la propensione. Tanto tutto si vende e tutto si compra al circo.

Ma perché gli stessi sindaci che oggi si strappano i capelli dal prefetto, ambendo ad essere sede di prima accoglienza o centro sprar, non hanno mai guardato alle risorse vere della Calabria? La Forestale avrebbe potuto essere cosa viva; e non un bancomat riservato a zittire gli ultimi che hanno avuto la fortuna di accedere ad un posto statale. Sindaci, perché non avete lottato per quella? Perché non avete tentato di ripulirla dalle carcasse che la stavano avvelenando, compreso il comodato d’uso dei politicanti, e il silenzio assenso degli ignoranti, per renderla una speranza per i figli? Il fenomeno Riace ha inebriato le vostre menti, ora tutti sognate un posto in classifica, e una fonte con cui dissetare l’elettorato. Ma è quando penso che Fortune avesse questo caos per obiettivo che la mia comprensione finisce…

Nel frattempo l’accoglienza riempie le gabbie del nostro grande circo, e qualcuno farnetica che ci sia molto spazio disponibile nei paesi abbandonati, e che le case potrebbero essere ricostruite secondo i dettami che il buon Lucano darà, e che l’Aspromonte tornerà vivo. Peccato solo che Africo stia aspettando la ricostruzione e la strada di collegamento col paese nuovo da quasi settant’anni, la proloco di Brancaleone il suo antico borgo se lo ripulisca da sola ogni settimana, e i roghudesi siano scappati da molti anni ormai dalla nuova Roghudi, la periferia di Melito. A pensarci prima, l’Aspromonte non sarebbe neanche morto. Ma diversamente, se gli aspromontani si fossero tolti l’anello al naso, sarebbero rimasti senza lavoro i professionisti dell’antimafia. Un vero danno per l’economia. Un giro senza fine, roba da politici. Per noi presto inizierà lo spettacolo. Benvenuti al circo!

Ospedale di Locri, 22 ottobre. Il "Pennacchio day"

Mai luogo comune è stato più “luogo” e più “comune” di questo, quindi azzeccato: “La rovina della Calabria sono i calabresi”: dal governatore al più anonimo intellettuale di provincia; ed escludo i poveracci perché essi si affidano a Dio, pregandolo o bestemmiandolo, e non sentenziano, non sfilano, non vanno in televisione, ché non saprebbero dire due parole in italiano.

È in questa confusione che mi ritrovo stamattina, in questo bombardamento ignobile che ha per tema l’ospedale di Locri, e nonostante i buoni propositi di stampa (faziosa) e politicanti, io continuo a non capirci nulla sulla sanità della Locride, e ancora meno sui calabresi, soprattutto quelli dati per “buoni”.

I fatti

In occasione della commemorazione del dottore Fortugno il presidente Oliverio e il commissario Brancati comunicano l’avvio delle procedure per l’appalto relative alla progettazione esecutiva sia del presidio ospedaliero di Locri che della Casa della salute di Siderno. A Locri si prevede la ristrutturazione del padiglione chirurgico, la costruzione del nuovo pronto soccorso, il trasferimento della dialisi con la messa a norma di queste e di altre aree ospedaliere. È previsto un adeguamento delle tecnologie e delle apparecchiature, per un impegno di circa 15 milioni di euro, più 230mila euro per la nuova centralina elettrica. Per la Casa della salute di Siderno è prevista una spesa di circa 9 milioni di euro. E’ stato inoltre trasmesso al commissario Scura il quadro del fabbisogno di personale: 37 dirigenti medici, 41 infermieri, 10 caposala, 2 ostetriche, 70 operatori socio sanitari, 1 tecnico di radiologia, 3 tecnici di neuro-fisiopatologia.

I politici

Nonostante gli articoli, i sopralluoghi, i progetti che ambiscono a dare un quadro finalmente in movimento sulla sanità locridea, grazie al lavoro del commissario Scura e a questa sinergia col governatore, qualche assessore regionale chiarisce che Oliverio non condivide l’operato dei commissari, che sarebbe meglio se venissero destituiti dalle loro mansioni, che sono stati imposti dal governo centrale senza l’accordo della Regione. E allora ricado nella mia confusione, anche se qualche domanda me la pongo con lucidità: che sia la Sanità un piatto troppo ghiotto per la politica regionale? Milioni di euro che farebbero impallidire qualsiasi bilancio regionale, soprattutto se di essa privato, e cui si aggiungerebbero posti di lavoro, rimborsi, e una serie di favori possibili da elargire all’elettorato, a piene mani. Così, pur non avendo alcuna risposta sulle numerose ambiguità, almeno circoscrivo un possibile movente.

Il “giorno della Sanità”

Nel giorno in cui qualcosa si muove non più solo nelle buone intenzioni del commissario Scura, sindaci e associazioni ridiscendono in piazza e si ripreparano all’ennesimo, inutile, grande giorno: la manifestazione del 22 ottobre. Ed io che alla manifestazione ci vorrei andare, e sensibilizzare altre persone perché la Sanità è affare di tutti, mi chiedo se sia opportuno farlo in questo momento storico, ché il mio problema è più che altro tecnico: per che cosa manifesterei il 22 ottobre?

Ma non sarebbe meglio aspettare il “mese” annunciato di Scura e, se non dovesse mantenere le promesse, scendere in piazza - ora si - motivati e incazzati neri col commissario?

Altre stranezze, altri moventi. Piccolissimi, minuscoli moventi.

I calabresi

In sintesi a Locri ci si scanna per il pennacchio (si salvi almeno il buon vescovo), e a Melito ci si scanna perché per il pennacchio ci si scanna a Locri.

Con grande dolore, infatti, appuro che a qualche melitese questa cosa non vada giù, offeso dal fatto che Oliverio si rechi a Locri ma non passi dal Tiberio Evoli; e si finisce per discorrere di ospedali come se si parlasse del campo per una partita di pallone. Non ho da dire nulla a questi ultimi, mi sovviene solo una constatazione: quando da Melito - io che sono locridea - ci passavo (anche due volte al giorno) per andare a Reggio dov’era ricoverato mio padre avevo già un’ora di viaggio sulle spalle…

Il punto

La rovina della Calabria: i calabresi, ma non tutti. I politici di ogni livello assieme ai politici mascherati da tecnici; la stampa che scrive, invita e riprende a pagamento, trattando le notizie cruciali come fossero pubblicità; e poi gli intellettuali medio-bassi di questa nostra estesa periferia.  

Cinema. "S.O.S Africo", la sfida di Elio Ruffo

La miseria degli aspromontani viene filmata e portata nel mondo: paesi senza strade, fognature, assistenza sanitaria. Nessuna casa da potersi definire tale.

«Entrai per l’ingresso di via XX settembre, con la “pizza” sottobraccio, un pomeriggio del mese di aprile del 1951. Venni introdotto dal Capo della Casa Civile del Presidente, attraversai enormi saloni e visitai il giardino sempre accompagnato dal mio ospite. Poi fu l’ora della proiezione. Nella sala Luigi Einaudi sedeva accanto a Donna Ida, entrambi attorniati dai rappresentanti della Casa, civile e militare, con le rispettive consorti. Fui colpito dall’aria sana, di buona famiglia senza pretese e senza ostentazioni che vi regnava. E di qui una distinzione più che signorile, una comunicativa che non poteva negare, agli illustri ospiti, l’adesione totale del visitatore e la sua franchezza nel parlare. Africo era un paese sperduto, sulle falde dell’Aspromonte.

In quel luogo, l’unico autentico moto di interessamento per una condizione di vita primitiva e disumana, certamente non “cristiana”, era giunto dal Presidente della Repubblica. Senza strade, senza fognature, senza assistenza sanitaria, senza case minimamente possibili, Africo emanava un lezzo acuto, lungo i suoi vicoli oscuri. E la secolare miseria del meridione doveva passare, ora, davanti agli occhi del liberale Einaudi, su d’uno schermo assai più vasto del piccolo quadro bianco installato nella sala del Quirinale. Alla fine della proiezione, Donna Ida appariva commossa fino alle lacrime.

Il Presidente mi chiese: “È proprio tutto così?” “Eccellenza, è peggio, molto peggio - risposi - ma non mi è stato possibile mostrare di più. Questi documentari, per recuperare almeno le spese, devono passare per una commissione di censura e per un comitato tecnico. Se sono sgraditi, la censura li ferma o il comitato tecnico o tutti e due insieme”. Il Presidente rimase pensoso. Poi batté per tre volte il bastone sul tappeto». È la parte finale dell’articolo che il regista calabrese Elio Ruffo scrisse per il Paese Sera, raccontando le vicissitudini (censure ministeriali e “paesane”) che accompagnarono la realizzazione del documentario intitolato S.O.S. Africo; pubblicato nel libro curato dalla Cineteca della Calabria e presentato qualche mese fa a Roma.

“Raccontare di Elio Ruffo è per noi come riassumere la nostra storia di cercatori di tracce cinematografiche sul territorio iniziata nel 1999” scrivono i curatori del libro Eugenio Attanasio, Maria R. Donato, Domenico Levato ed io, Giovanni Scarfò; una ricerca che, in tutti questi anni, ha consentito di ri/comporre un’identità cinematografica che, seppur debole, ha permesso di “far vedere” la storia della rappresentazione che il cinema ha dato della Calabria. Elio Ruffo nasce a Reggio Calabria il 24 dicembre 1920. Figlio di Enrichetta Giuseppina Cordova, nobile di Palizzi, e di Gaetano Ruffo, avvocato (difensore tra gli altri di Giuseppe Musolino, dirigente della massoneria di Palazzo Giustiniani, fermo oppositore del fascismo e discendente da Gaetano Ruffo, uno de cinque martiri di Gerace).

Laureato in Giurisprudenza, negli anni ‘40 risiede a Roma e sposa una nobile romana, con la quale avrà due figlie, Beatrice ed Enrica. Inizialmente si dedica all’attività giornalistica - L’Umanità, Fotogrammi - poi al cinema come aiuto di Mario Sequi (Monastero di S. Chiara, ‘49). Nello stesso anno debutta come regista con il documentario S.O.S. Africo, con il quale si fa notare dalla critica meritandosi un attestato di “impegno cinematografico”.

Passano cinque anni prima che Ruffo possa realizzare il suo primo film a soggetto Tempo d’amarsi, girato tra San Luca e Bovalino e proiettato fuori concorso al Festival del Cinema di Locarno, anno 1955. È, invece, del 1966, preceduto da altri documentari e scritti sul cinema, il suo secondo lungometraggio Una rete piena di sabbia, film-inchiesta sui problemi del Meridione, girato tra San Luca e la riviera ionica fino a Soverato, presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Venezia e vincitore di un ambito riconoscimento alla rassegna cinematografica romana Giove Capitolino. Sono tanti purtroppo i film progettati da Ruffo che non hanno trovato una strada produttiva. Tra i principali: L’attentato Zaniboni, Una famiglia del Sud (ispirato alle vicende familiari del regista), Il poggio e la speranza (un cortometraggio sull’esilio di Pavese a Brancaleone Calabro), Aspromonte: vendetta ed omertà (sui contrasti tra un barone calabrese ed un italo-americano rientrato in Calabria per sfuggire alla giustizia americana). Nel 1972 riesce a realizzare le prime immagini del film Borboni ‘70 sulla scoperta del summit mafioso in Aspromonte; purtroppo la morte lo ha colpito la notte del 16 giugno ‘72, mentre riposava nella sua abitazione di Bovalino.

Giovanni Scarfò

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