La sua nomina venne data in via ufficiosa nell’estate del 2012, suscitando grande curiosità tra gli aspromontani. Giuseppe Bombino era un po’ come loro: escursionista, amante dei boschi e della natura, il professore che camminava insieme agli studenti. Una brava persona. Ma sarebbe riuscito a cambiare l’Ente parco, inteso da Comuni e associazioni come un salvadanaio per sponsorizzare sagre e mostre dal dubbio gusto? Sarebbe riuscito a ridare dignità agli abitanti delle montagne, lasciati agonizzanti dallo spopolamento prima e dall’istituzione dell’Area protetta dopo? E a metterci un po’ di vita in quella “scatola vuota” dal 1989? Quando bussai alla sua porta, al primo piano dell’Università di Agraria, Giuseppe Bombino non sapeva cosa avrebbe trovato a Gambarie, né se ci sarebbe arrivato; ma ricordo con chiarezza l’entusiasmo con cui parlava della montagna e la curiosità con cui si avvicinava a ciò che ancora non conosceva. Fu il nostro giornale, nato assieme alla nomina di questo presidente, a raccoglierne le primissime dichiarazioni. «L’Aspromonte è come una religione, una speranza non realizzata. Esso non si è svelato ai miei occhi, ma mi ha posseduto; è stato come appartenere alla sua verità. L’ho percorso, da ragazzo, alla ricerca delle visioni di Corrado Alvaro e dei luoghi descritti da Domenico Giampaolo. È stato un percorso mentale, prima che fisico. Mi colpì, in particolare, la sua gerarchia geologica e minerale, l’ordine dei suoi lineamenti, il rigore dei suoi sentieri montani; e il peso dei suoi millenni, che è il peso delle preghiere delle genti che l’abitarono, ancora oggi persistenti come uno stimma». Preghiere che si aggiungono agli sforzi fatti dai nostri scrittori in questi anni, nel tentativo di riscrivere la montagna in modo nuovo, affinché chi ci era nato fosse portato a restare - o a tornare -, ma senza camminare scalzo sui sentieri sterrati, senza patire il freddo e le malattie denunciate da Zanotti Bianco. Affinché ciò si realizzasse era prioritario mettere in relazione proprio i due mondi che avevano spaccato la sue genti, come muri di Berlino. «È necessario ridurre le “dicotomie” con ciò che Parco non è, e privilegiare la “contiguità territoriale” per mettere in rete l’area protetta con quei territori che hanno altri valori e intelligenze. Mi riferisco, ad esempio, alla contiguità tra la montagna e la costa e alle potenzialità, ancora non del tutto esplorate, di una offerta naturalistica e culturale in grado di mettere a sistema l’esclusiva incombenza della montagna al mare». Uno sforzo a cui il presidente non si è sottratto in questi anni, valorizzando nell’Expo di Milano prodotti coltivati a metà tra la costa e l’entroterra; tentando di regolarizzare il rapporto tra i pastori, il territorio e la loro attività di allevatori; cercando disperatamente un dialogo con la Città metropolitana, dimostratasi sorda a prescindere, per non aver voluto riconoscere l’eccellenza del Parco nazionale all’interno del suo Statuto. «Il problema non è ricondurre l’opera al nome del suo autore; l’Aspromonte non è in cerca di autore; esso, semmai, chiede di conoscere qual è l’opportunità e l’opera che la può contenere» profetizzava Bombino qualche giorno dopo il suo insediamento. «Ciò che mi interessa è l’esigenza di creare un’infrastruttura culturale da sovrapporre a quella fisica e naturalistica: da ciò discenderà la capacità di tradurre sulla trama fisica del territorio le opportunità e le iniziative di sviluppo socio-economico. Il mio impegno, in particolare, è quello di portare “l’uomo” al centro delle scelte e di far rinascere presso la comunità del Parco il sentimento dell’appartenenza ad una visione comune in cui l’uomo diviene elemento tra gli elementi in una rinnovata alleanza». Non si è tradito “l’atteso presidente”, nonostante il governare metta a dura prova anche i propositi migliori. E forse, col tempo, quando ogni uomo impara a convivere con la stanchezza, gli impegni, le delusioni, torna più simile a ciò che era alle origini. Qualche ruga in più, qualche sogno in meno, ed una nuova saggezza. «La prima frase che ho pronunciato di fronte ai Sindaci dei comuni del Parco è stata: “Aiutatemi a non tradire questa terra». Numerosi i progetti messi in campo in questi anni e tanti gli accordi di programma siglati con gli enti pubblici e le università.
Ecopastori è stato un progetto innovativo e coraggioso. Ma spesso ci si dedica all’allevamento di animali per ottenere contribuiti e non in prospettiva di una crescita aziendale.
«Ho suggerito ai pastori di organizzarsi in modo strutturato, perché a ciò potrebbero aggiungersi le premialità per le campagne antincendio, la narrazione dei luoghi e dei mestieri, il progetto “Via Lattea”. E i pastori sono entrati in contatto con le associazioni di Protezione civile, con cui comunicano per tutto il periodo in cui è alto il rischio incendio. Questa sinergia è una trama fortemente positiva, un grande segno di civiltà, nessuno si sarebbe aspettato da un pastore aspromontano una tale sensibilità ai problemi ambientali. È fondamentale rendere chiara la propria posizione, solo così si può aiutare chi tende a restare ai margini, perché il poter trarre vantaggio di un’attività regolamentata porta ad una naturale emulazione. Oggi è importante per gli aspromontani fare delle “scelte di campo”, cioè è necessario chiarire se ci sia la volontà di regolarizzare il rapporto con l’attività e l’ambiente e renderlo produttivo sia per l’azienda che per la società, o continuare con la politica del “tirare avanti”».
Perché, allora, non organizzano gli ovili in modo che gli animali possano vivere in condizioni ottimali, e riprodursi in modo sicuro e controllato?
«Prenderne coscienza è un processo esclusivamente culturale, per cui è necessario accettare che il risultato venga nel tempo. Il Parco ha tentato di suggerire la giusta impostazione, facendo decine di riunioni a cui hanno preso parte almeno cinquanta allevatori. Ci sono state proteste, lamentele, domande e anche molti consensi; per l’Ente il risultato più grande è stata la loro assidua e numerosa presenza, e l’aver potuto stabilire un rapporto sano, chiarendo molti punti».
Si potrebbe estendere il progetto degli ecopastori anche nelle altre aree aspromontane?
«Certamente, perché quello promosso nell’Area grecanica è stato solo un progetto pilota. Volevo capire se c’era una reazione degli allevatori sondando i risultati di un’area circoscritta, peraltro alle riunioni sono venuti anche pastori da Africo. Se ci sarà una risposta positiva, estenderò il progetto alle altre zone, perché il consorzio deve essere inteso in tutto l’Aspromonte. Oggi, posso affermare con certezza, che la risposta in termini di attenzione c’è stata: nei giorni scorsi un gruppo di allevatori che ha partecipato alla prima fase del Progetto ha costituito la Cooperativa “La via Lattea”, un momento emozionante per tutto l’Aspromonte».
Bisognerebbe puntare su quei pochi…
«Esattamente, bisogna puntare su di loro, dopodiché se saremo all’altezza di promuovere i vantaggi ottenuti del lavoro in consorzio riusciremo a persuadere quanti hanno ancora dei dubbi».
Lei è il coordinatore regionale di Federparchi, quindi conosce bene le altre Aree protette calabresi. Cosa rappresentano i Parchi per il territorio?
«Anche il rapporto tra uomo e Area protetta è una questione culturale. In Sila, ad esempio, se si entra in un locale a chiedere un bicchiere d’acqua l’oste - prontamente - precisa che essa proviene da una fonte del Parco nazionale. In Sila si è compreso che il mondo sta andando verso una traiettoria nuova in cui l’attenzione a come le cose si fanno, a come si producono, alla qualità della vita, al benessere, è vincente. Nel Parco d’Aspromonte, al contrario, né ancora difficile a convincere le strutture ricettive a promuovere i prodotti del territorio, quali potrebbero essere i funghi che, nell’Area protetta, possono essere tranquillamente raccolti. Solo nell’Area integrale è severamente vietato. L’idea collettiva è che il Parco nazionale sia un’area di qualità dove i prodotti sono migliori per salubrità e per assenza di inquinamento; altrove, in Italia, l’emblema del Parco Nazionale viene presentato quale valore aggiunto per promuovere una offerta di prodotti e turistica qualitativamente superiore; vi sono numerosi casi di realtà produttive che ambiscono ad un riconoscimento della qualità dei loro servizi e prodotti da parte del Parco; da noi, invece, questa consapevolezza non è ancora matura. In molti casi, gli imprenditori non hanno compreso che, chi svolge un’attività all’interno dell’Area protetta, dà ad essa un valore aggiunto. Una cultura che in Aspromonte deve essere ancora maggiormente recepita, e per incentivare le iniziative di associazioni o cooperative l’Ente è costretto a pubblicare avvisi; negli altri parchi avviene l’esatto contrario: per l’utilizzo del logo le associazioni sono disposte a pagare l’Ente».
Questa sorta di disaffezione verso l’Area protetta, e la cattiva abitudine a intenderla come una sorta di bancomat, potrebbe essere causata delle politiche attuate dal Parco in questi anni? «Soprattutto grazie al contributo della struttura amministrativa ed operativa dell’Ente - costituita da Donne e Uomini di grande professionalità che ci mettono impegno e cuore per il territorio- abbiamo ridotto drasticamente, anzi direi che abbiamo annullato, la discrezionalità con cui in passato venivano elargiti i finanziamenti ed il sostegno ad iniziative, spesso di dubbia efficacia per L’Ente. Ciò, grazie alla messa a punto di procedure trasparenti e coerenti con gli obiettivi dell’Area Protetta, mirate alla valorizzazione dell’immagine del Parco”.
Presidente, le strade d’Aspromonte…
«Per chiarezza: il Parco nazionale ha competenza solo sulla viabilità rurale, cioè sulle piste forestali e sui sentieri; per le strade di accesso alla montagna la competenza è intercomunale o provinciale; dalla loro incuria il Parco ne trae un danno enorme. La strada che porta a Montalto, ad esempio, è un’infrastruttura cruciale per l’Area protetta, ma è frazionata tra più Comuni; in caso di problemi, se non c’è un ente esponenziale che cerchi di svolgere la funzione di coordinamento, essa rimarrà impraticabile: ogni sindaco si limiterà ad evidenziare i confini geografici della sua competenza. È chiaro che l’intervento sporadico di un solo Comune sarebbe uno sforzo vano».
Restiamo a Montalto, le cui strade sono impraticabili da novembre fino ad aprile, fino a quando non si scioglie le neve. Nelle Alpi ci sono strade che arrivano ad oltre 2mila metri di quota e sono percorribili in tutte le stagioni, tant’è che quelle zone vivono del buon funzionamento delle strutture. Cosa manca all’Aspromonte per essere all’altezza della Alpi? A Bova in inverno basta un po’ di ghiaccio per rischiare di finire fuori strada.
«Il Parco, oltre a sollecitare le istituzioni competenti, non può fare nulla; a meno che non gli si riconosca ufficialmente questa funzione. Se io, come presidente, impiegassi un solo euro in un ambito che non è competenza dell’Ente risponderei per danno erariale. Tuttavia non mi sono tirato indietro dinnanzi alle esigenze venute alla luce in questi anni. È stato ad ottobre che ho scritto una lettera al presidente Oliverio, in cui lo invitavo di intervenire sulle criticità della viabilità aspromontana, tra questa la situazione gravissima di Sant’Agata del Bianco. Come ente esponenziale mi sono fatto carico di presentare sul Fondo di coesione sociale un progetto da 10 milioni di euro, che sarà finanziato probabilmente al 20%; ciò permetterà al Parco di entrare nell’ambito della viabilità in cui prima non aveva voce. L’ho fatto soprattutto per i Comuni, a cui ho chiesto un mandato per redigere il progetto globale; un progetto che rispettasse una precisa visione di insieme. Anche nel settore della raccolta dei rifiuti il Parco è vittima della mancanza di interventi da parte dei Comuni; purtroppo essi hanno grosse difficoltà a gestire la raccolta nei centri urbani, e non potrebbero mai mandare un autocompattatore a 1400 metri di altezza; ma più che un’opera di sensibilizzazione, e giornate di volontariato per ripulire i boschi, il nostro Ente non può fare».
In che rapporti è il Parco con la Città metropolitana?
«L’assetto della Città metropolitana di Reggio Calabria è esclusivo e avrebbe potuto rafforzare il Parco nazionale agli occhi del Ministero dell’Ambiente. La situazione tra l’Aspromonte e Reggio non è codificata in nessuna legge a taglio ambientale perché è un fatto inedito in Italia e nel mondo, un fatto per il quale si sarebbe dovuto trovare un nuovo assetto. Per restare in tema di viabilità: la dorsale tabulare taglia in due il Parco nazionale collegando Sinopoli a Canolo, su essa si innestano tutte le strade che salgono dai due mari, un’arteria fondamentale per l’Aspromonte. Con la cessazione delle province la competenza è passata alla Città metropolitana ma, nella lettera che ho inviato ad Oliverio, è stato a nome del Parco che ho chiesto un intervento di messa in sicurezza, premurandomi di allegargli la mappa». Nello Statuto della Città metropolitana non è stata riconosciuta l’Area protetta come aree omogenea. Chi ci ha perso? «Il non riconoscimento ha significato una perdita di valore per la Città metropolitana. Lo Statuto è solo un fatto formale per il Parco, infatti le prerogative dell’Area protetta non possono essere svilite da esso. Ed è proprio questo che fa paura; per il Parco d’Aspromonte non è cambiato nulla, il problema non esiste: le prerogative del Parco non si estendono oltre il territorio della Città metropolitana, le politiche dell’Area metropolitana non possono non tenere conto dell’Area protetta. Il Parco ha, rispetto ad essa, una pianificazione che è di un rango superiore; riconoscerla all’interno dello Statuto sarebbe stata solo un’elevazione di significati. Siccome la forma spesso è sostanza non dar ragione a queste intelligenze del territorio ha significato scrivere uno statuto “non intelligente”».
Il Parco nazionale sarà candidato a Unesco Global Geoparks.
«Il percorso che stiamo intraprendendo con la candidatura al Global GeoParks Unesco si inquadra nella più ampia opera di valorizzazione delle realtà che compongono l’Area protetta, che ha previsto, tra l’altro, il riconoscimento “Bandiere arancioni” conferito dal Touring Club a Bova e Gerace, l’avvio della Carta Europea del Turismo Sostenibile, il sostegno alle filiere dei prodotti identitari e il recupero straordinario della rete sentieristica. Ma il più importante riconoscimento è quello che deve compiere la popolazione, il settore imprenditoriale e commerciale, chiamati ad una sempre maggiore consapevolezza del proprio ruolo nella costruzione di un processo di identificazione e sviluppo. Nei giorni scorsi presso l’Aula Magna di Architettura dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria abbiamo organizzato una giornata convegnistica di grande rilievo scientifico sulla geodiversità dell’Aspromonte in prospettiva della candidatura alla rete mondiale Unesco con l’apporto fondamentale, del mondo accademico, ordini professionali e associazioni. Durante il convegno è stata presentata la prima Guida Geologica dell’Aspromonte».
Lei è stato il promotore di numerosi “accordi di programma”. Cosa hanno portato?
«Con i Comuni di Africo e Samo sono in divenire le prime fasi realizzative degli accordi di programma che consentiranno il recupero strutturale e funzionale dei borghi di Africo antica e Casalinuovo, degli antichi insediamenti dell’entroterra destinandoli all’ospitalità diffusa, a laboratori di educazione naturalistica e ambientale, a scuole e centri di formazione (giornalistica, naturalistica e ambientale, artistica, fotografica e cinematografica) sui temi della montagna. Mentre su Samo l’accordo di programma punta al recupero e la valorizzazione del borgo antico di Precacore. Su entrambi i fronti siamo in attesa dei primi delle rispettive amministrazioni comunali, ciò non solo ci aiuterà a riqualificare importanti punti strategici dell’Aspromonte e a risvegliare identità culturali importantissimi ma anche a coinvolgere i giovani nelle attività di animazione territoriale».
Presidente, dopo circa quattro anni, crede di averla tradita questa terra?
«Si. Assolutamente si! Non in spirito, s’intende. Ma ogni volta che non sono riuscito a risolvere o interpretare correttamente le istanze e le ansie del territorio e della mia gente d’Aspromonte, io ho tradito. Ogni volta che non ho saputo ascoltare, ogni volta che non ho saputo comprendere o supportare. Spero che questo sentimento mi aiuti a fare sempre meglio e a considerare l’interesse superiore dell’Ente che amministro».