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In Aspromonte
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Antonella Italiano

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Il racconto. Trecce d'argento

Guardai il cielo quella mattina, fu come fare un salto e scappare. Lassù era tutto d’argento, le nuvole, le montagne, gli uccelli infreddoliti e leggeri. Da trent’anni quel cielo era sempre uguale, da quando col dito disegnavo sulle finestre fiori di cinque petali e una foglia e bimbe dai capelli lunghi. Sentii l’odore di casa, quello che mi mancava fino alle lacrime quando imbruniva ed ero ancora dai nonni. E che mi soffocava fino a farmi sfuriare, nelle lunghe giornate d’inverno.

«Potete entrare», e la voce del medico mi riportò in sala d’attesa. Entrai, e fui investita dall’argento di carrelli e lettini. Per non guardare oltre focalizzai l’attenzione sulle luci che correvano lungo i tubi d’acciaio. Mi parse più bello quel mondo riflesso, distorto dalle curve delle traverse. Là i colori si mischiavano, e con loro le facce, le storie, persino le rughe. Era un mondo senza tempo, finalmente.

La signora stava composta, seduta al centro del letto, con su le gambe una coperta color cammello. «Papà» ti dissi «non ti ricorda nessuno?». Tu la guardasti. Sono sicura che ti parse un angelo, con quel suo volto fiero e il sorriso cordiale, e le mani conserte sul grembo e le sue trecce d’argento. Da quanti anni quelle trecce erano sempre uguali? Da quando eri bambino, certo, e correvi scalzo per le vie del borgo, e l’argento l’avevi visto solo tra i capelli di tua madre, divisi in due lunghe ciocche poi intrecciate, e raccolte sulla nuca con spilloni e retine. O sui capelli delle zie, dove la treccia era unica e si appuntava sulla testa quasi fosse una corona. E ti sarà parso strano che le donne di quei tempi vendessero le loro lunghe trecce per qualche centesimo, chi acquistava i capelli? che importanza potevano avere? Lo capisti solo quando iniziasti a perderne. Ma accadde molto, molto tempo dopo.

«Signora mi ricorda mia nonna». L’angelo sorrise. «Però è un po’ disordinata, dovrebbe rifare quelle trecce», dissi per giustificare la mia insistenza nel fissarla. Quando tornai, la sera dopo, le trecce erano nascoste da un colorato fazzoletto, portato come le donne calabresi di un tempo. Ed ogni giorno il fazzoletto era diverso, perché fosse sempre fresco e pulito. L’argento si intuiva, ora, dalle rughe sul viso. Quando fu il momento di andare l’angelo resto lì al centro del letto, con la sua coperta color cammello, e il suo fare dignitoso. E il cielo tornò azzurro, e il tempo si staccò dalla traverse d’acciaio per tornare libero di scorrere. Per riportarci a casa.

La provocazione. Estorsione a mezzo stampa

Uno scrittore, il più grande. Una montagna, l’Aspromonte. E una patria in cui non è profeta. Per questo abbiamo dedicato un po’ di spazio a Saverio Strati, perché nessuno meglio dei nostri autori può parlarci di questa terra. Loro che dalla sua durezza sono stati temprati. Segnati a dismisura. Tanto da rimanere soli. Soli. Sono pagine pulite le sue: in esse vivono contadini, falegnami, pastori, carbonai. E portano vivo il colore di un Aspromonte incontaminato. Libero da alberghi e seggiovie, che puzza di capre e di maiali. E di timo, soprattutto a ottobre.

Il giorno in cui bussai alla porta di un amico con una bozza di menabò e tante cose da scrivere ancora in testa, questo mi rispose serio «Un giornale sulla montagna? Leggi questi versi». Me li lesse lui, subito dopo: «Restano gli zapponi dietro la porta, 
i cieli, i vigneti.
La pietra di sale sulla tavola. I vecchi 
che non si muovono dalla sedia, soli con la peronospera nei polmoni.
 Le capre, la voce lunga degli ultimi maiali scannati. L’argento a forma di cuore, nella chiesa. 
Le ragnatele dietro i vetri, le madonne. La ragnatela del Carmine, la ragnatela di Portosalvo, la ragnatela della Quercia. Restano le donne 
consumate da nove a nove mesi con le macchie della denutrizione, della fame. Le addolorate. 
Le pietà di tutti gli ulivi. Lavando, rattoppando, cucinando su due mattoni, raccogliendo
spine e cicoria. Sono di Franco Costabile, parlano degli emigranti». Caspita, pensai. Quanto cose erano state già dette. Da questo, dunque, si doveva partire; da chi, prima di noi, aveva respirato l’aria della nostra regione, delle sue esagerate montagne. Ed era chiaro che, per non tradirne la storia, parlando delle sue “luci” avremmo dovuto ricordare le sue “ombre”. E di tutto fare tesoro: dello scatto, dell’oggetto, del mestiere, del ricordo. Dell’ingiuria al pari della poesia. Ed oggi, ogni volta che strappiamo qualcosa all’abbandono a cui è destinata, e la “stampiamo” su carta, sentiamo di aver aiutato la storia a sopravvivere. E di aver lasciato meno soli i nostri scrittori.

Non credete, dunque, a chi non ha rispetto per la Stampa. A chi la usa come mezzo di estorsione personale. A chi raccoglie informazioni per poi lasciarle in bilico. In bilico fino al (suo) bisogno. E si rivela paparazzo, non fotografo. Bracconiere, non cacciatore. Boia, non giustiziere. Ho un ricordo solo in parte, l’altra parte è nei film, dei tempi in cui le estorsioni si facevano “porta a porta”, con due scagnozzi e una pistola. Si vendeva la “protezione”, che serviva a difendersi comunque da due scagnozzi e una pistola, ma del partito avverso. Ogni tanto ci scappava la saracinesca nuova. Questo ricordo, soprattutto. Invece neanche esistevo quando sull’Aspromonte vivevano i briganti. Di essi ho amato le storie, una in particolare. Parla di Nino Martino e di quando, una mattina, andò incontro al venditore di olio per derubarlo: «Scarica l’olio!» gli intimò. Ma il venditore scoppiò in lascrime: «Ho perso l’olio. Me meschino!». Il pover’uomo era stato già derubato da un assassino che terrorizzava tutto il paese. Nino Martino, che era un uomo regale, prese la borsa, tirò fuori uno zecchino. E glielo donò… Altre estorsioni. Altri tempi. Altro.

I "ducatisti" del Multistrada alla "Festa dell'Aspromonte" di Canolo

  • Published in Eventi

La Calabria migliore, quella che affonda le proprie radici nella cultura magno-greca e al contempo è proiettata verso il futuro. È la Calabria oggetto della continua ricerca del Multistrada Team, un gruppo di motociclisti reggini, in prevalenza “Ducatisti“, che impegnano il loro tempo libero in attività moto turistiche.

Musei, mostre, chiese, borghi antichi, aree archeologiche, luoghi paesaggisticamente interessanti, sono le mete preferite. La valorizzazione dell’eno-gastronomia e delle eccellenze agroalimentari del territorio sono un altro loro punto di forza. Nascono così “giri in moto” per andare a visitare la mostra di Mattia Preti a Taverna, o per incontrare l’Orchestra di Fiati Paolo Ragone del Maestro Managò, ed essere deliziati dalle note dei giovani musicisti di Laureana  di Borrello.
Un mix di tutto questo nella “Festa dell’Aspromonte” di Canolo. Cultura contadina, musica popolare, paesaggi mozzafiato (le straordinarie Dolomiti di Canolo); i prodotti della terra come il pane di grano jurmano,  i formaggi,  i salumi come il prosciutto crudo San Canolo, prodotto da maiali allevati allo stato semi-brado nei boschi d’Aspromonte,  sono state le attrattive. 
Organizzata dal Multistrada Team e dall’Associazione Anspi Kanalis, in collaborazione con i commercianti del paese, la manifestazione di Canolo è stata una vera festa, con la presenza,  per la gioia dei bambini, dei Pagliacci ClanDestini.

Non sono mancati i momenti di approfondimento, Giuseppe Bombino,  presidente del Parco Nazionale d’Aspromonte e Pietro Molinaro, presidente di Coldiretti Calabria, hanno messo l’accento  sulle opportunità che agricoltura e ambiente,  se correttamente valorizzati, possono creare in ambito turistico. 
La giornata, che ha visto la partecipazione dei motociclisti siciliani del Ducati Club Catania, si è conclusa con una lezione del geologo Luigi Milli, anche lui motociclista, che ha spiegato le peculiarità geomorfologiche delle Dolomiti di Canolo raffrontate a quelle trentine.
Unire assieme la passione per le moto, per la cultura, per l’ambiente e il territorio insomma, la formula vincente del Multistrada Team !

Gallicianò, celebrazioni natalizie in rito ortodosso

Sabato 13 Dicembre, alle ore 10:00, presso la chiesa di Santa Maria di Grecìa a Gallicianò, frazione di Condofuri, si terrà una liturgia in rito greco ortodosso per celebrare l’arrivo delle festività natalizie. Nella bellissima cornice del paese definito l’acropoli della Magna Grecia, per via della presenza del più alto numero di parlanti la lingua greco calabra, si ricorderà il significato del Santo Natale, nel giorno in cui il calendario ortodosso commemora la memoria della martire Lucia e quella di San Nicola di Oppido, un santo italo greco vissuto in una delle ultime diocesi di rito greco dell’Italia Meridionale: Oppido Vecchia, l’antica Sant’Agata dei Bizantini.

Come ogni anno la chiesa di Santa Maria di Grecìa, attente i prelati ortodossi, ormai presenti in Calabria nella gestione di molti monasteri sparsi soprattutto nella provincia reggina.

L’attività della chiesa orientale nella nostra regione risale alla fine degli anni Novanta, a seguito della creazione della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta, ufficializzata dal Patriarca Ecumenico Bartolomeo I il 22 ottobre 1991. In Calabria sopraggiunse all’indomani della riscoperta del patrimonio culturale greco calabro, sostenuta alla fine degli anni ’60, da un alcuni studiosi, quali i proff. Domenico Minuto e Franco Mosino, all’epoca docenti del liceo classico di Reggio Calabria. Nel 1968, i due ricercatori intrapresero un percorso pedagogico con alcuni alunni originari di Gallicianò, i quali mostravano di comprendere termini del greco antico mai studiati, tuttavia conosciuti poiché comunemente utilizzati nei rispettivi ambiti familiari. Approfondimenti, e sopralluoghi scaturirono la scoperta della spiritualità dei Greci di Calabria, fino ad allora sottovalutata, rispetto al grande interesse suscitato invece dalla lingua grecanica. Gli studi nelle aree più grecizzate della provincia jonica di Reggio Calabria rivelarono come alcune tradizioni religiose, considerate spesso mere superstizioni, corrispondevano invece ad usanze della tradizione bizantina, con profondi significati spirituali. Per precisa volontà dell’arcivescovo di Reggio Calabria, Mons. Ferro, furono avviati contatti tra l’Arcidiocesi reggina e il Collegio Greco di Roma, cui seguirono visite di giovani studenti greci, guidati da padre Giacomo Engels, benedettino di rito bizantino del monastero belga di Chevetogne. Si pensava, infatti, che il ristabilimento della liturgia italo-greca avrebbe potuto offrire ai Greci di Calabria la forma più congeniale per vivere il cristianesimo, ristabilendo una tradizione secolare che aveva nel tempo segnato l’identità delle piccole comunità ellenofone dell’Aspromonte Meridionale. Tra il 1969 e il 1974, padre Giacomo riuscì a celebrare le prime liturgie bizantine nei centri di Gallicianò, Chorio di Roghudi e Bova, coinvolgendo un numero sempre maggiore di persone, che si tradussero, in breve tempo, nella fondazione dei primi luoghi di culto di rito bizantino in Calabria, come la skiti di San Cipriano a Cannavò. Questi tentativi di “recupero” dei Greci di Calabria dell’antica tradizione spirituale, suscitarono l’interesse degli ortodossi di Grecia, che con reciproche visite e scambi culturali portarono in Calabria religiosi del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli, tra i quali, il compianto padre Kosmàs, monaco del Monte Athos, a cui si deve la rifondazione del monastero di San Giovanni Theristìs, a Bivongi. La loro attiva presenza nel territorio portò alla concessione di luoghi di culto da parte della Chiesa Cattolica, grazie anche alla creazione di un clima ecumenico che incentivò il restauro di antichi centri di culto italo-greci, come la chiesa San Giovannello a Gerace e l’abazia di San Giovanni Therestìs a Bivongi. Seguì la fondazione di nuovi monasteri a Seminara e Melicuccà, la creazione della parrocchia greco-ortodossa di Reggio e la visita in Calabria del patriarca Ecumenico Bartolomeo I nel 2001. Ma ad incentivare la vita ortodossa nella provincia reggina non fu solo il desiderio di recupero della tradizione perduta. Infatti, l’ondata migratoria dell’Europa dell’Est, che ha investito la regione nell’ultimo decennio, ha trasformato i centri di culto ortodossi in eccezionali laboratori di integrazione sociale, favorendo l’insediamento a Reggio Calabria della Chiesa Ortodossa Rumena, nella cui giurisdizione ricade oggi il monastero di San Giovanni Therestìs a Bivongi. Attualmente, sempre più numerose sono le attività le azioni a sostegno del dialogo interreligioso tra la chiesa greco-ortodossa e la chiesa cattolica. Il recente incontro tra Papa Francesco e il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, induce infatti a profonde riflessioni sul ruolo assunto dall’Aspromonte Greco, all’indomani dello scisma del 1054, quando le comunità di rito greco della Calabria, si ritrovarono tra due nuove realtà ecclesiali – non più in comunione tra loro -, legate per tradizione e cultura all’Oriente e per giurisdizione all’Occidente. In questo quadro storiografico del tutto anomalo le comunità italo greche della Calabria Meridionale hanno giocato un ruolo chiave, avvicinando sempre più l’Oriente cristiano all’Italia grazie al dialogo costante con la Chiesa di Roma. Non è quindi casuale se ancora nel terzo millennio la provincia di Reggio Calabria si qualifica come luogo di incontro tra l’Oriente e l’Occidente, terra fertile per far crescere un messaggio ecumenico nel pieno rispetto delle differenti tradizioni spirituali. E su questa scia che poggia le basi l’intervento di promozione dell’evento di Gallicianò da parte dell’Associazione culturale Cumelca, Redazione Tv di Sud 656, mafiaNO e AIAB Calabria, associazione italiana per l’agricoltura biologica della Calabria.

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